"Una vera leader del settore ristorativo del suo paese, le cui abilità culinarie e i cui sforzi pioneristici hanno elevato la scena gastronomica delle Filippine e stabilito un nuovo benchmark da seguire per altri chef e ristoratori"
Sono queste le motivazioni con cui, lo scorso gennaio, Margarita Forés ha ricevuto il riconoscimento di Asia's Best Female Chef 2016. Nel suo paese la chef guida un piccolo regno gastronomico, un regno che parla italiano. Al suo primo locale, Cibo, aperto nel 1997, sono seguiti molte altre aperture dove il background italiano e le tradizioni filippine sono in un continuo interscambio, tanto di ingredienti quanto di idee. Nel 2012, inoltre, Margarita ha aperto il primo campus asiatico della scuola Casa Artusi di Forlimpopoli.
Abbiamo avuto l'occasione di incontrarla durante Identità Golose a Milano, dove ha fatto un coinvolgente intervento incentrato sul ruolo della generazione della vita.
Come ha scelto il tema?
Quello di dare la vita è il nostro ruolo in quanto donne, e penso sia quello che più mi ha completato, nella mia vista personale e nella mia carriera. Anche da un punto di vista alimentare amo gli ingredienti che hanno a che fare con la produzione, che siano caviale, uova o la stessa gallina che ha portato le uova. La nostra cultura è molto materna. È una grande somiglianza con quella italiana, la ragione per cui attraverso gli anni ho riscontrato come sia molto facile per noi Filippini andare d'accordo con voi. Le nostre vite si svolgono intorno alla tavola da pranzo e intorno alla figura materna: anche le famiglie dei filippini sono sempre molto grandi.
Come ha cominciato a cucinare? E perché italiano?
Forse ero italiana nella mia vita passata! Scherzi a parte, nei primi anni Ottanta ho lavorato due anni per Valentino a New York. In quel momento c'erano così tanti italiani lì, che aprivano attività e anche ristoranti: io ero una ventenne impressionabile e tutto questo mi ha incantato. È lì che è cominciata la mia storia d'amore con tutto quello che è italiano. C'era qualcosa che mi bruciava dentro, il fuoco della cucina che mi spingeva a nutrire le persone.
Quando io e la mia famiglia siamo tornati a Manila io ho deciso di partire per l'Italia. Era il 1985: ho passato quattro mesi tra Roma, Milano e Firenze, dove ho trovato delle "signore" italiane che mi hanno insegnato la vostra cucina.
E perché ha aspettato dieci anni prima di aprire un locale proprio?
Quando sono tornata a casa volevo condividere con tutti quello che avevo imparato. Nel 1987 sono stata invitata a un grande festival gastronomico a Manila chiamato Italia in bocca. Non c'erano molte chef donna nelle Filippine, al tempo, quindi ero una buona storia per le pr, "la novità in città". Mi hanno fatto belle foto, sono finita sui giornali. Ma tutta quell'attenzione mi ha dato alla testa. Passavo da una festa all'altra, mi scordavo gli appuntamentii, sbagliavo a portarmi dietro ingredienti e attrezzature.
Che cosa l'ha fatta cambiare?
Mi sono svegliata nel 1990, quando è nato mio figlio. Ho realizzato che ero responsabile di un'altra vita. Ho cominciato a chiedermi "Voglio davvero costruire una carriera in cucina?". Premi e riconoscimenti sono solo la superficie nella vita di uno chef. Quello che ti rende davvero di successo sono disciplina e struttura.
Quando ho passato qualche tempo in Milano ero rimasta molto colpita da Panino Giusto. Al tempo a Manila gli unici fast food che avevamo erano quelli costruiti sullo stampo americano, mentre io ne volevo uno italiano moderno ma creato nelle Filippine. E così nel 1997 ho aperto Cibo, che adesso ha dieci filiali in città: qualcosa di giusto devo averlo fatto!
Ha avuto qualche difficoltà all'inizio?
Era una sfida trovare gli ingredienti: i pomodori coltivati nelle Filippine, ad esempio, erano molto acidi. Non potevo nemmeno fare una salsa di pomodoro! Non avevamo le erbe e nemmeno la possibilità di accedere a un buon olio d'oliva o un buon Parmigiano. A poco a poco è diventato più facile importare prodotti, e ho incominciato a crescere piante come il basilico o la rucola.
Perché ha deciso di aprire un campus filippino di Casa Artusi?
Volevo condividere la bellezza della cultura italiana e della filosofia di Pellegrino Artusi, che è, in effetti, la filosofia italiana tout court: fare tutto con passione, avere la pratica come miglior insegnante, trovare begli ingredienti, usare le tecniche corrette ... ora sono in grado di promuovere entrambe le culture, la filippina e l'italiana. Come il mio Adobo, ad esempio: al posto del nostro aceto, che è troppo forte, ho provato a usare l'aceto balsamico, e ho scoperto che il suo sapore medio si accompagna perfettamente con la nostra ricetta tradizionale.