Monica Maggi è architetto, grafica e web designer. Nata ad Ancona, si è trasferita a Pescara per frequentare la facoltà di Architettura e tuttora vive e lavora lì. La sua attività legata al food design fa parte di un progetto più ampio dedicato all'artigianato, che si chiama Poco design. In qualità di food designer ha vinto il concorso Brocche 2.0, realizzando con il cioccolato fondente i tradizionali chiodi che in Trentino si usavano per rinforzare gli scarponi, detti appunto "brocche".
La cucina è sempre stata presente nella sua vita, e il suo percorso di food designer nasce dall'unione tra il pensiero progettuale, sviluppato nella sua vita da architetto, e il suo rapporto naturale e spontaneo con la cucina.
Fine Dining Lovers l'ha intervistata.
Che cos'è per lei il food design?
È l'unione tra la mentalità da architetto e la passione per la cucina. È un atteggiamento mentale: anche quando faccio cose semplici ho l'atteggiamento del progettista. Una parte del mio lavoro con il cibo è il risultato di un progetto, una parte invece nasce da una sorta di educazione famigliare al piacere della tavola e della manualità.
Che ruolo ha l'artigianalità nel tuo lavoro di food designer?
Il mio food design è profondamente artigianale: realizzo a mano ogni cosa che progetto. Anche nel design, mi sembra che questo sia il momento della riscoperta di artigianalità e manualità, dello studio di tecniche antiche, magari per realizzarle con metodi nuovi o per utilizzarle su oggetti diversi.
A questo proposito vuole parlarci delle brocche?
È stato un lavoro divertente e trasversale. Si trattava di prendere degli ogetti artigianali e unici, in ferro, come le brocche, e trasformarli utilizzando una tecnica analoga e un materiale differente. Spostare la perfezione di quella forma su un altro materiale. Le brocche di cioccolato fondente che ho realizzato insieme a Pippo Marino e Giangi Caffio rafforzano il gusto invece della presa della suola. Oltre che nella forma, ricordano quelle originali anche per il gesto che si compie quando si conficca il chiodo in una torta o in una brioche.
Cos'è il cattivo design?
È quello che crea oggetti belli solo da guardare. Il buon design invece crea oggetti che siano anche piacevoli da maneggiare e svolgano bene la funzione per la quale sono stati pensati. Le brocche fondenti rispondono a questo requisito, perché il loro sapore, la loro forma e la gestualità che suggeriscono sono tutti legati tra loro.
Come è arrivata al food design?
il mio lavoro principale è quello di architetto, grafica e web designer. La cucina mi viene dalla mia famiglia, sono cresciuta in mezzo a una fervida attività culinaria. Cucinare è un grande gesto di affetto, una forma di cura non solo nei confronti delle persone care ma anche nei confronti degli sconosciuti.
Qual è stato il suo primo lavoro nel campo del food design?
Tutto è cominciato con i bento box. Lavoravo in uno studio e mi portavo dietro il pranzo al sacco. Per prendermi cura di me stessa ho iniziato a prepararmi delle scatole progettate con attenzione sia dal punto di vista estetico che dal punto di vista dell'equilibrio degli alimenti: il fondamento della pratica bento giapponese è l'equilibrio - tra i vari alimenti, tra le diverse consistenze, tra i sapori, prima ancora che tra forme e colori. Fotografavo le mie scatole e le postavo su facebook, in quel periodo un amico gallerista faceva delle mostre-lampo e mi ha chiesto di preparare una mostra con quelle fotografie. Sono stata io a proporgli una mostra commestibile, piuttosto che esclusivamente fotografica, anche perché non sono fotografa. Da quel momento ho cominciato a ricevere altre richieste per la realizzazione di allestimenti analoghi.
Come è nato il nome 'Poco design'?
Cercavo un nome che facesse da biglietto da visita al mio lavoro artigianale. Volevo che fosse semplice nel significato, ma soprattutto nel suono. 'Poco' ha un suono vagamente giapponese e infantile, due sillabe. In più significa una cosa che mi piace: riuscire a fare con poco e ottenere un benessere. La fogliolina del logo è un disegno che faccio di continuo da sempre. Una cosa semplice e piccola, ma tra le più complesse che ci sono in natura.
Il cibo è un mezzo di comunicazione?
Rispondo con un aneddoto: di recente ho fatto uno speech su Poco design. Siccome trovo svilente che chi mi ascolta guardi immagini di cibo senza poterlo gustare, avevo portato con me qualche cioccolatino. Alla fine del mio racconto, ho lanciato sul pubblico i cioccolatini, e a ciascuno era attaccato un biglietto di Poco design. È stato un vero gesto di comunicazione che faceva leva sul senso del gusto. I sapori sono una delle cose che ricordiamo meglio.
Qual è il primo sapore che ricorda?
Uno dei più antichi è lo zabaione che mi preparava nonna Guerrina quando c'erano le uova fresche a casa.
Cosa si mangerà nel 2051?
Forse tra trent'anni l'esotico sarà tradizione. Le tradizioni si formano anche in modo rapido, esistono "cibi tradizionali" inventati trent'anni fa, oltre a quelli antichissimi. Nel 2051 può darsi che cibi che oggi ci sembrano lontani dalla nostra cultura, come le meduse o le alghe, saranno considerati tradizionali.
Progetti per il futuro?
Preferisco che restino misteriosi. Come dicevo prima la mia testa è progettuale, spero di continuare così.
Le fotografie in questa pagina sono di Monica Maggi