Con l'ultima edizione della guida Michelin, la Calabria ha visto brillare una nuova stella nel proprio territorio. Si tratta del Qafiz, ristorante composto da soli sedici posti a sedere, situato a Santa Cristina d'Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria.
All'interno di Villa Rossi, settecentesca tenuta di famiglia dedicata prevalentemente agli eventi, il lungimirante Nino Rossi e il suo staff propongono un'alta cucina del territorio che non si ferma davanti alla sperimentazione e alle contaminazioni moderne.
Classe 1981, lo chef Nino Rossi si è raccontato a Fine Dining Lovers: dall'inizio del progetto Qafiz alle esperienze fuori dalla regione, dal suo concetto di ristorazione alla realizzazione dei piatti. Ecco la nostra intervista.
Il Qafiz è nato nel 2016. Qual è l’idea alla base di questo progetto?
Io e la direttrice Rossella Audino sentivamo il bisogno di ampliare la nostra visione sul mondo della ristorazione, con un progetto di fine dining che parlasse chiaramente del nostro territorio, la Calabria, e che fosse l'incubatore delle nostre passioni. Da queste necessità iniziò a prendere forma il Qafiz.
Cosa significa Qafiz?
Il Qafiz, o Cafiz, è una misura tradizionale araba per quantificare il volume. Oggi è ancora usata in almeno una nazione, la Libia, per misurare la quantità di olio di oliva. Equivale a sette litri circa. Da Qafiz derivano i termini cafisu, cafiso o caffiso, anch'essi utilizzati per quantificare l'olio d'oliva a Malta, in Calabria e in Sicilia, e che corrispondono a circa 16-17 litri. Un nome dunque legato all'olio d'oliva, ma anche alla storia del territorio.
Un ristorante d’alta cucina a Santa Cristina D’Aspromonte, meno di 1000 abitanti. Non sarebbe stato più semplice aprire, ad esempio, a Reggio Calabria?
Il progetto ha senso solo qui: ci troviamo in una dimora storica del Settecento, dove i miei nonni si trasferivano per la campagna olearia; da qui posso raccontare la storia di me e della mia famiglia, attraverso i miei piatti, attraverso una narrazione che passa dalla cucina. Abbiamo un'azienda agricola, una piscina, un fiume incontaminato dove fare il bagno, una dimora dove stanno nascendo anche delle stanze per l'accoglienza degli ospiti. E poi c'è Aspro, il mio cocktail bar...
La Calabria è spesso considerata una delle regioni meno reattive al tema dell'alta cucina e della sperimentazione ai fornelli. Come ritiene stia cambiando la ristorazione calabrese in questi anni?
La Calabria si sta evolvendo grazie a tutti quei cuochi che hanno avuto il coraggio di fare esperienze fuori. Come me, anche altri colleghi sono riusciti a vedere questa terra unica con occhi nuovi, iniziando a dare vita a progetti solidi che parlano fortemente di Calabria e, quando possibile, a fare sistema.
Come definirebbe il suo stile di cucina?
Potrei usare tre aggettivi per descrivere la mia cucina: tecnica, precisa e certamente moderna.
Ha parlato molto della sua regione. Nella sua cucina si riscontrano con evidenza diversi elementi italiani, ma anche francesi. Da cosa deriva questa influenza d'Oltralpe?
Io racconto ciò che sono, i luoghi che ho visitato, le esperienze che ho vissuto, le persone che ho incontrato. Ho avuto la fortuna, sin da piccolo, di mangiare in alcuni grandi ristoranti francesi con i miei genitori. Come potrei dimenticare alcune preziose salse, l'eccellenza del burro, l'eleganza della pasticceria? In certi casi la contaminazione è un processo molto più naturale di quanto si immagini.
E dunque in cosa le sue ricette sono squisitamente italiane?
Come dicevo, i prodotti della mia terra sono fondamentali nell'offerta del Qafiz. Ma è l'Italia in generale a ispirarmi, la tradizione della cucina nostrana è fortemente radicata nella mia memoria e nel corredo dei sapori cui attingo. Inoltre, prestare attenzione alle produzioni del territorio significa anche avere maggiore consapevolezza sull'origine delle materie prime, sugli ingranaggi della filiera, sulla sostenibilità.
In una cucina moderna e sperimentale c’è dunque spazio per la tradizione?
Non può esistere sperimentazione se non si parte da una conoscenza solida della tradizione. Sarebbe come immaginare un punto di arrivo senza avere un punto di partenza.
Quest’anno è arrivata la stella Michelin. Come avete appreso la notizia lei e il suo staff?
È stata una grandissima gioia per tutti, un obiettivo che abbiamo raggiunto grazie a studio e caparbietà incessanti.
Cos'è cambiato con l'arrivo della stella?
Un progetto ambizioso come il nostro necessita e merita di essere conosciuto. La comunicazione e la visibilità sono fondamentali: con la stella le persone sono molto più curiose di conoscere ciò che facciamo al Qafiz. E senza dubbio ora riusciamo ad attirare un più elevato numero di gourmand, anche da fuori regione.
Lei è passato dal ristorante di Norbert Niederkofler: cos’ha imparato dallo chef del St. Hubertus?
Ho avuto il piacere di fare alcuni stage formativi invernali presso il St. Hubertus, a partire dal 2009 fino al 2011. Devo dire che ognuna di queste occasioni mi ha aperto la mente, sull'organizazzione sia della cucina sia del ristorante, nonché sull'approccio alla realizzazione delle ricette e sull'uso delle materie prime.
Un piatto o un ingrediente che la rappresenta più di altri?
L'agnello dell'Aspromonte.
Il suo staff è particolarmente giovane. Qual è il primo consiglio che si sente di dare a chi vuole intraprendere una carriera nell’alta ristorazione?
Quello dell'alta cucina è un mondo di sacrificio, dove bisogna avere pazienza. È necessario raggiungere la giusta maturità per dare vita a progetti solidi e duraturi. Io e il mio staff cresciamo ancora oggi giorno per giorno.