Una terra ricca di biodiversità e in alcuni tratti priva di contaminazioni: la Sardegna è un territorio unico che va preservato e valorizzato. Così la pensa uno dei suoi più interessanti giovani chef, Pierluigi Fais, del Josto al Duomo ristorante al centro di Oristano. Insieme alla sua famiglia dal 2011 Pierluigi gestisce il locale, l'hotel e il piccolo negozio di prodotti enogastronomici, mentre in cucina lavora con i due compagni d'avventura Matteo Russo ed Enrico Fois, con i quali lo chef è cresciuto professionalmente negli anni.
La storia di Pierluigi è per certi versi atipica: una famiglia già votata alla ristorazione, ma in seguito la scelta di iscriversi alla facoltà di economia. Dopo la laurea torna però alla cucina, senza una formazione classica ma con la voglia di sperimentare e andare oltre la tradizione sarda.
Non il solito chef, non la solita brigata e non il solito ristorante sardo: al Josto al Duomo Fais insieme ai suoi collaboratori e familiari cerca di portare avanti un progetto di cucina etica e ironica. Come? Ce lo spiega meglio in questa intervista.
Che tipo di cucina si trova nel suo ristorante?
Una cucina del territorio e per quanto possibile etica e ragionata. Ci piace utilizzare prodotti locali con qualche tocco esotico, non dimenticando la tradizione, elevata al futuro. Per noi è inoltre molto importante il rapporto con i fornitori e gli artigiani locali; puntiamo sulle specialità e l'unicità della Sardegna, terra che bisognerebbe valorizzare sempre di più. In quanto isola ha mantenuto delle peculiarità più forti di altre regioni e questo porta a dei prodotti con un'identità molto forte. La natura della Sardegna è rimasta originale rispetto ad altre zone d'Italia, perché non è stata "contaminata", e questo bisognerebbe sempre ricordarlo.
La nostra è anche una cucina ironica: ripeschiamo dal passato e "nascondiamo gli ingredienti", cercando di non rendere troppo facili le cose al cliente.
Cosa intende per "non rendere le cose facili al cliente"?
Negli ultimi tempi stiamo provando a non spiegare più i piatti ai clienti come succede in tutti i ristoranti di livello: mi piacerebbe che i clienti si accorgessero dei sapori da soli, che si divertissero a scovare gli ingredienti.
Quali sono gli ingredienti che predilige in cucina?
Non ci piace utilizzare solo carni o i tagli considerati più pregiati, ad esempio della pecora adoperiamo tutte le parte, non solo il filetto. Ci piace poi cambiare il modo di cucinare determinati ingredienti: sempre riguardo la pecora, qui in Sardegna la tradizione vuole che la si cucini sempre bollita, mentre è una carne che ha tanto da dire, ma la si è banalizzata. Stesso discorso per il pescato locale; uno dei pesci che preferiamo è la muggine. Inoltre ultimamente ci stiamo concentrando sulle erbe selvatiche e ci stiamo appoggiando a un ragazzo che ci sta facendo scoprire le peculiarità della terra.
Dall'economia all'alta cucina: ci parli del passaggio
I miei genitori facevano questo lavoro, ma io non sono mai entrato nel vivo della professione, benché avessi una grande passione per il vino e il buon cibo. Dopo mi sono iscritto ad economia a Cagliari. Quando ho finito l'università la cosa più naturale da fare mi è sembrata la ristorazione. Delle persone mi hanno proposto di lavorare in un ristorante, ma le cose sono andate male e ho deciso di iniziare un'avventura da solo. Ho iniziato a fare ristorazione con un approccio più critico e in maniera più precisa: ho studiato e lavorato, capito qual era la strada più giusta per le mie idee. Ricordo ancora con orrore i pacchi di gamberoni congelati nelle mie passate esperienze; adesso il cibo che non è fresco è bandito dalla nostra cucina.
Com'è il panorama ristorativo sardo?
Non facilissimo: il legame con le tradizioni ha fatto sì che non si sviluppasse una cucina moderna; adesso grazie a qualche mio illustre predecessore le cose stanno cambiando poco a poco.
Un ristorante che l'ha colpita e che consiglierebbe?
Qui in zona sicuramente il Su Carduleu di Roberto Serra, mentre una cena che mi ha colpito molto è stata quella al Metamorfosi di Roy Caceres.
Immagini: Pietro Pio Pitzalis