“Oggi punto a una cucina che ti fa stare bene. Non è più il momento della sperimentazione per me”. Lo chef Lorenzo Cogo, ex enfant prodige della cucina italiana, torna sulle scene così, con un nuovo progetto che declina il fine dining in chiave confortevole, senza tradire l’indole istintiva di un’arte che si fa alta, grazie alla contaminazione e alla tecnica. Da meno di un mese lo ritroviamo a Venezia, alla regia del ristorante Dama, aperto all’interno dell’hotel Ca’ Bonfadini, nel sestiere di Cannaregio. Un’elegante dimora storica inaugurata nel 2019, che accoglie tra stucchi e affreschi cinquecenteschi, lasciando emergere uno spirito contemporaneo nell’oasi gourmet.
“In brigata ci sono sei persone, una bella squadra: sono tutti giovani, con una media di 24 anni, voglio metterli davanti a me per essere il loro coach”, spiega lo chef, che, dopo aver chiuso El Coq a Vicenza, ora scommette sulla sua società di consulenze Food Color, con cui si impegnerà in altre nuove aperture e avventure gastronomiche. “L’obiettivo della società è seguire pochi progetti, ma molto bene: Dama è il progetto madre, che segna l’inizio di questo nuovo percorso. Si tratta di un gruppo di ragazzi che lavorano all’interno di questa famiglia, e non di una società che ruoti attorno a me. I ragazzi sono tutti sotto la mia ala, hanno la possibilità di esprimersi in un progetto fatto bene”, spiega Cogo.
Ristorante Dama: la location
Nel cuore dello storico ghetto ebraico, il ristorante sorge di fronte al canale di Cannaregio. Il nome Dama? Si rifà alle tipiche strutture veneziane sorrette dalle briccole (i pali lignei usati per indicare le vie d’acqua in laguna). L’impronta dello spazio gastronomico, aperto anche agli esterni a colazione, pranzo e cena, riflette lo spirito di Cogo.
“Il ristorante rappresenta molto di più la mia personalità rispetto all’albergo, che è il luogo dove invece ritrovi la venezianità”, racconta. Tre spettacolari tavoli conviviali nudi, realizzati da Riva 1920 utilizzando il legno restaurato delle briccole, danno il benvenuto in un ambiente dal mood informale, ma con un servizio attento. “Sono stato il primo a togliere la tovaglia 12 anni fa, perché volevo portare all’essenza la cucina, volevo che i piatti fossero protagonisti. Poi, dopo due anni che ho preso il ritmo, e le persone venivano al ristorante per il mio cibo, ho rimesso la tovaglia”, racconta Cogo.
E ora torna alle origini di quel pensiero, con tre tavoli che dominano la scena. Lo spazio, pensato per un totale di 25 coperti, è raccolto e accogliente, con dettagli di design che definiscono una linea contemporanea, ma non austera o essenziale.
Ristorante Dama: il menu
Il comfort si riflette nei piatti. “La carta è basata su un menu di pesce, con l’idea di creare un’esperienza di cucina rotonda e piaciona: voglio che le persone stiano bene, l’obiettivo è quello di farle rilassare”, spiega lo chef. E si sta bene, in quest’oasi moderna all’interno di un contesto storico unico, nel godimento del mare secondo Cogo. Lo chef va in controtendenza rispetto alla scelta di molti colleghi e decide di non proporre menu degustazione: “Per ora non l’ho introdotto: preferisco lasciare il menu alla carta, senza percorsi obbligati, in modo che le persone tornino più volte a provare diversi piatti”, spiega.
“Preferisco un cliente che venga qui per mangiare due piatti, ma che torni. Come sono stato tra i primi a togliere la tovaglia e a mettere un menu degustazione obbligatorio, così sono tra i primi a optare, oggi, per la carta”. Lungimiranza alla Cogo, insomma, che sigla portate capaci di rendere godibile l’accostamento ardito e il gusto intenso. Un girotondo di sapori che dal profondo del mare tocca punte acide e fresche, senza che nulla sia dato per scontato.
Ecco allora lo scenografico Carpaccio di ricciola con cavolo viola rafano e acqua di rose, un fiore aromatico e avvolgente, ma anche il Sashimi di seppia ai tre pepi, peverada e olio al prezzemolo, lo Spaghetto aglio olio e peperoncino con latte di nocciola e vongole, ma anche il Cappelletto con anguilla, foie gras e barbabietola, sintesi perfetta di un percorso dove l'intensità olfattiva si fa rotonda al palato.
E ancora, piatti complessi che valorizzano un solo ingrediente che assume consistenze e forme diverse, come la Guancia di rana pescatrice, che viene cotta alla brace e servita con ravioli di sedano rapa ripieni di mantecato di ritagli di rana pescatrice, cipolline agrodolci e una salsa a base di caramello di sedano rapa.
Immancabile a Venezia, poi, il baccalà, che Cogo reinterpreta come Bacalao in tempura, torta di biete e trippa di baccalà, salsa speziata (a base di senape e curry) e clementine scottate "che danno pulizia e acidità al piatto, assieme a un agrodolce di barbabietola", precisa lo chef. Si prosegue con Mazzancolle alla brace, tofu al pistacchio, lattuga e liquore all'anice, asparago di mare e cetriolo agrodolce, per concludere con l'avvolgente Namelaka agli agrumi, barbabietola e radicchio, che omaggia in dolcezza il territorio. Il nuovo fine dining è all’insegna del comfort.