Ne avevo sentito parlare, era una parola che risuonava nei racconti di guerra di mia nonna. Eppure, non avrei mai pensato di doverlo sperimentare in prima persona. Il coprifuoco ha fatto improvvisamente irruzione nella nostra vita: le amministrazioni di alcune regioni italiane hanno disposto il divieto serale di uscire. Un provvedimento mirato a contenere il contagio da Covid, limitando la movida notturna.
A inaugurare la stagione del coprifuoco è stata la Lombardia, dove da ieri, 22 ottobre, c’è il divieto di uscire dalle 23.00 alle 5.00, salvo per spostamenti “motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità o d’urgenza ovvero per motivi di salute”. Seguirà, da stasera, venerdì 23 ottobre, il coprifuoco in Campania (dalle 23.00 alle 5.00) e nel Lazio (dalle 24.00 alle 5.00).
Ma com’è cenare in un ristorante fine dining quando incombe il coprifuoco? Non ho rinunciato ad andare a provare la cucina di Sara Preceruti, che, proprio poco prima del lockdown degli scorsi mesi, si è trasferita con il suo Acquada da Porlezza a Milano, in zona Navigli, negli spazi che per anni hanno ospitato il ristorante stellato Tano passami l’Olio (che intanto si è trasferito in via Petrarca). Per tutto il giorno, che ho personalmente ribattezzato “Coprifuoco Day”, ho avuto la sensazione che io stessi per apprestarmi a vivere una sorta di ultima cena. Ultima prima di cosa? Non lo so, anzi nessuno lo sa, ma il timore che la situazione precipiti come nei mesi scorsi, costringendoci a un nuovo confinamento, è dietro l’angolo.

In vista di questa presunta last supper dinner, ho tarato e cadenzato in maniera differente dal solito la mia giornata, anticipando il pranzo alle 12.00, per non sentirmi poco affamata alle 19.00, orario cui abbiamo spostato l’appuntamento, inizialmente previsto alle 20.00. Per chi, come me, abita dalla parte diametralmente opposta della città, la situazione cambia parecchio: ciò significa che, per andare a cena, alle 18.00 deve necessariamente “cadere la penna” dalle mani, e bisogna uscire.
Arrivata a destinazione, igienizzate le mani e misurata la temperatura corporea, mi accomodo al tavolo. Sono a una cena stampa, con altre cinque colleghe che rivedo con piacere dopo tanto tempo (e mentre le saluto mi auguro non sia l’ultima prima di un altro arresto forzato dell’esistenza). Secondo le disposizioni, è possibile far sedere al massimo sei persone allo stesso tavolo. Approfittando anche del fatto che il ristorante è vuoto, ci hanno disposto larghe: tre persone per tavolo, con uno spazio che supera decisamente il metro di distanza tra noi.
“Hanno disdetto le prenotazioni per questa prima sera di coprifuoco”, spiega la chef. “Avete il ristorante tutto per voi”. Una frase, quest’ultima, che suonerebbe in maniera diversa in altre circostanze. Intanto, mi dimentico dell’angoscia che sottilmente striscia quando il pensiero va alla situazione pandemica, tuffandomi nel fantastico mondo di Sara Preceruti.

In sala, Claudio Baggini riesce a far volare lo spirito con classe e simpatia, versando nel calice chicche come il Sauvignon blanc Dry Lechinta, che arriva direttamente dalla Transilvania. Nel piatto si scopre la grazia di una chef capace di trovare un perfetto equilibrio nei contrasti, nell’esecuzione impeccabile di piatti che interpretano classici come il piccione o il risotto, ma con uno sguardo che vola lontano, tra consistenze diverse e note aromatiche di carattere, in grado di convivere senza rubarsi la scena.
Si comincia con un benvenuto a base di Millefoglie di ricciola, con alghe, zucca, salsa al limone e riso soffiato allo zafferano, che esprime al meglio il dualismo morbido-croccante e avvolgente-fresco che caratterizza molte creazioni della chef. E ancora, Tataki di tonno servito con caprino, cavolini di Bruxelles, insalatina di ceci al sesamo, caviale di soia e zenzero fritto, quindi Uovo barzotto con spuma di Parmigiano, con gelatina di acqua di porcini, limone glassato e polvere di porcini, “da assaporare direttamente con le dita”, ci suggerisce la chef. Si procede con un certo ritmo, la sala e la cucina non perdono un colpo, hanno la consapevolezza che in un ristorante fine dining ci vuole tempo, bisogna accogliere l’ospite in maniera adeguata, dando il giusto servizio, le dovute attenzioni, dedicando i minuti necessari alla spiegazione dei piatti, del vino, rispondere alle domande, e lasciare quindi che il cliente possa fruire al meglio del percorso gastronomico.

“ll menu degustazione richiede del tempo: siamo in due in cucina, io e Isao Sonoda (il sous chef, ndr), ci siamo preparati e abbiamo fatto le prove per riuscire a concludere il percorso per le 22.00”, spiega la giovane cuoca. E tocca un punto cruciale dell’affair coprifuoco: un ulteriore ostacolo che metterà ancora una volta alla prova un settore che ha già dimostrato di sapersi reinventare e adattare con versatilità a nuove situazioni ed esigenze, tra mille difficoltà.
Procediamo, quindi, con un classico della cucina pugliese, uscito dal folklore e trasformato in un raffinato piatto d’autore: le Orecchiette con spinacini freschi, germogli di aglio, pomodorini canditi e ricotta affumicata. E ancora Risotto Riserva San Massimo alla Parmigiana con ragù di maialino iberico, servito con insalatina di mela verde e crumble alla menta, che dona un fresco respiro al piatto. Fino a sua maestà il Piccione e il suo fondo, con patate novelle, melone e Gorgonzola.
Piatti che richiedono tempo, per essere capiti, raccontati e assaporati, ma che incredibilmente scorrono nel flusso di una cena serena, tranquilla, senza rinunciare al rituale della luccicante cloche che viene alzata per ogni corsa, e che, alla sola vista, trasporta magicamente a un’alta sfera del gusto.

Sono quasi le 22.00, guardiamo tutte l’orologio. La serata è piacevole, ci siamo dimenticate di ogni pensiero. La chef, prima del dolce, si ferma a fare due chiacchiere in sala e ne approfitto per chiedere come vanno le prenotazioni per la prossima settimana, vista la situazione di incertezza che stiamo vivendo, soprattutto a Milano. “Sabato ho un tavolo da quattro, che ha spostato dalle 20.30 alle 19.00 la prenotazione, la settimana prossima hanno disdetto dei tavoli perché - per motivi di lavoro - non riescono a stare qui presto”, racconta. “La gente non sta prenotando da una settimana, circa. A pranzo lavoro su prenotazione, in realtà con lo smart working al 75%, anche a mezzogiorno ora è meno frequentato il ristorante”.
Sara, che è nuova della zona, sorride con un pizzico di amarezza quando le chiedo se è riuscita a notare un “prima” e un “dopo” qui. “Stavo prendendo un bel giro proprio ora”, mi risponde. Un peccato, penso io, perché la gente non sa che si perde una chef che trasmette serenità, grazia ed equilibrio, presentando accostamenti intelligenti e mai scontati. “Ora, giustamente, c’è panico e c’è paura, e bisogna pensare che le persone non si abituino di colpo ad andare a mangiare alle 19.00 anziché alle 21.00. A volte gli ultimi tavoli arrivano anche alle 22.00, perché alcuni per lavoro prima non riescono proprio”, racconta.
Come stava procedendo il lavoro prima del coprifuoco? “Andava meglio, fino a mezzanotte facevamo un po’ meno fatica: la gente quando viene in un certo tipo di locale vuole stare tranquilla, anche se non ho notato nessuna differenza di consumi. Chi prenota è sereno, vede che rispettiamo le regole, adesso abbiamo addirittura messo a disposizione le due salette in esclusiva, senza costi aggiuntivi: se la famiglia è composta da sei persone, per esempio, e vuole stare in un ambiente isolato, ha uno spazio riservato a disposizione”, racconta la chef. “In totale ci sono 25 coperti, a pieno regime c’era già molto distanziamento, abbiamo solo tolto un paio di tavoli”, aggiunge.

Sara, che durante il lockdown ha fatto volontariato in una mensa dell’Associazione S. Francesco, preparando pasti per persone in difficoltà, è molto sicura e tranquilla, e devo dire che trasmette perfettamente la sua sensibilità non priva di concretezza, sia nei sapori sia nell’accoglienza del ristorante stesso. Eppure, come spiega, “in cucina siamo andati più veloci del solito questa sera”.
La bravura del ristoratore che propone un menu degustazione risiede proprio in questa attitudine, nel correre ai fuochi, senza che l’ospite se ne accorga. “Abbiamo comunque deciso di diminuire il numero delle portate in menu: prima erano sei per tipo, adesso sono quattro, anche perché cambiamo spesso la carta, ogni mese e mezzo”, specifica.
Nel frattempo sono arrivati i dolci: sapori leggeri, che ci sorprendono per l'uso dei vegetali. Si spazia dal semifreddo ai pistacchi, con crumble di olive e cacao e crema di pomodorini gialli, al suo dessert signature, quello della vita: Il gianduia veste rosso, ossia peperone baby farcito con mousse al gianduia, gelato al latte di capra e crumble di pasta frolla alle mandorle. Un dolce-non-dolce che ancora una volta comunica in maniera cristallina gli abbinamenti siglati dalla chef. Inediti, talvolta arditi, ma capaci di conquistare il palato con garbo.

Sono quasi le 22.30, devo scappare a prendere la zucca (ah, no, quella era Cenerentola). Prima di andare via, però, la chef ci porta l'autocertificazione che compiliamo debitamente in ogni sua parte, perché non si sa mai. Secondo le disposizioni, infatti, è importante uscire dal locale entro le 23.00. Poi, se per caso si supera l’orario del coprifuoco mentre si è per strada, sulla via del rientro a casa, bisogna presentare la certificazione.
Sotto il diluvio, una Milano quasi deserta mi induce a qualche considerazione. ll coprifuoco ci impone inevitabilmente ritmi diversi, ma anche una routine differente, che deve paradossalmente farsi più equilibrata: finire di lavorare prima e non mangiare tardi. Sta ai ristoratori trovare il giusto ritmo e, ancora volta, la categoria ci sta dimostrando quanto sia possibile superare molti ostacoli, nonostante le difficoltà oggettive del momento.
Dovremmo fare come la cucina di Sara Preceruti: cercare un equilibrio nei contrasti, tra ciò che ci rassicura e ciò che ancora dobbiamo scoprire o conoscere.