La pandemia ha fatto sì che accadesse l’impensabile, anche in ambito gastronomico. Fino a pochi mesi fa, chi avrebbe mai detto che il delivery, seppur limitatamente a un periodo definito, per i ristoranti avrebbe rappresentato l’unico strumento per mantenere un contatto con i clienti?
E ora che l’emergenza ha lasciato il posto alla Fase 3, con la sua graduale ripresa, la consegna a domicilio continua a restare una costante dell’offerta di molte attività. Gli chef hanno studiato delle formule ad hoc, trovando nella (nuova) proposta di consegna a domicilio una soluzione alternativa per raggiungere il proprio pubblico (a fronte di una sensibile diminuzione dei coperti, per il rispetto delle misure anti-contagio).
Come abbiamo visto durante il lockdown, c’è chi ha personalizzato il packaging e il servizio, chi ha optato per food box con i piatti da ultimare a casa, e c’è anche chi ha aperto delle vere e proprie ghost kitchen o messo a punto linee appositamente pensate per il delivery, format inediti o sistemi per la conservazione e la spedizione del cibo sottovuoto.
Vi abbiamo raccontato com’è mangiare in un ristorante che ha riaperto, oltre che della lenta ripartenza dei locali, ma ora è giunto il momento di fare il punto sul tema del delivery. Con la consapevolezza che si tratta di una questione quanto mai controversa: se da un lato è una sfida, soprattutto per chi fa cucina gourmet, dall’altro sappiamo che mangiare a casa priva il cliente di un aspetto fondamentale per l’esperienza fine dining, l’accoglienza della sala.
Di sicuro, il delivery ha molto da raccontare, tanto che la Guida Michelin ha stilato una lista dei migliori, da non perdere nelle principali città italiane (la trovate qui).
Ecco qui di seguito un bilancio, con qualche testimonianza sulle consegne a domicilio più originali e riuscite.
Da Roma a Milano, il delivery degli stellati tra personalizzazione ed effetto sorpresa
Gestire un sistema di consegna a domicilio con piatti complessi, come quelli realizzati da un ristorante stellato, non è semplice. C’è infatti chi ha puntato sul delivery della seconda linea come Massimo Bottura (che è arrivato fino a Milano per le consegne - facendo sold out in pochissimo tempo - con i piatti del bistrot Franceschetta 58, direttamente da Modena), ma anche chi ha creato una linea ad hoc per la consegna a domicilio come Antonia Klugmann, che durante il lockdown ha ideato “Antonia a Casa”.
Cristina Bowerman e il delivery di Glass Hostaria con i regali a tempo
E poi c’è chi ha scommesso sul delivery dei propri piatti stellati, cercando di offrire un servizio diverso. È il caso di Cristina Bowerman, astro Michelin di Glass Hostaria a Roma, che ha da poco attivato il servizio di consegna a domicilio, con tanto di effetto-sorpresa di quelli che chiama “regali a tempo”. Un bilancio sull’esperienza? “Il delivery sta andando bene, nel senso che quando è stato consegnato, i feedback sono stati estremamente positivi. Il servizio ha suscitato la curiosità di tante persone, è un delivery sicuramente diverso rispetto a quello che si è visto sino ad ora, che poi era il mio obiettivo principale”, racconta la chef. “Non ho ancora lanciato la campagna, perché volevo assestarmi dal punto di vista logistico e organizzativo (cosa che farò sicuramente nelle prossime due settimane), ma devo dire che sono molto contenta”, prosegue. “Ho visto nella mancanza della sala, dell’armonia e del calore, un punto di debolezza, quindi ho cercato di farne un punto di forza. Ho pensato: come posso sopperire a questo? Ho immaginato allora i ‘regali a tempo’, in modo da prolungare la felicità o l’emozione di una cena”. E così, oltre ai piatti ordinati, il cliente riceve pacchettini che dovrà aprire solo in determinati momenti, successivi al delivery: per esempio, il mattino seguente aprirà una scatola dove troverà un croissant per la colazione.
Per coccolare il cliente anche a casa, con il giusto mood, chef Bowerman ha pensato a ogni dettaglio, non rinunciando ai suoi signature dish. “Innanzitutto, curo un aspetto molto importante: con il delivery porto sempre i fiori, proprio per ricreare l’atmosfera di accoglienza della sala. Per quanto riguarda i piatti, non avevo intenzione di realizzare una linea a parte, perché sarebbe stata percepita come una diminutio rispetto agli standard della cucina di Glass Hostaria, quindi sono partita dal presupposto esattamente opposto: l’idea di portare a casa i piatti di Glass Hostaria. Ho scelto ovviamente quelli che più si adattano per essere consegnati tramite delivery, ho fatto parecchie prove per capire quale fosse la migliore maniera di impiattare e quale fosse il modo più semplice per ricostruire i piatti. Tanto che mando un video personalizzato dove spiego cosa fare, divido per buste per evitare che la gente possa confondersi, e invito a scattare le foto da condividere sui social con l’hashtag #cipensacristinab, in modo che tutti possano sentirsi un po’ chef. I piatti sono quelli del passato e del presente di Glass, non volevo fare il delivery con piatti che non c’entrano niente con quella che è la cucina del ristorante”.
Proseguirà il delivery? “Proprio perché sono partita da questo presupposto, e ho fatto prima uno studio, credo che rimarrà per sempre, anche perché non voglio che sia percepita come una ‘cucina inferiore’, ma semplicemente come una ‘cucina diversa’ per tante ragioni, a partire dal prezzo più basso, ma la differenza la fa soprattutto la sala”, conclude la chef.
Casalchimia, il delivery del ristorante L’Alchimia a Milano e il successo nel quartiere
Alberto Tasinato, maître e patron de L’Alchimia, tra i neo stellati a Milano della Guida Michelin 2020, esprime un giudizio del tutto positivo sul delivery, che il ristorante ha avviato dalla seconda metà di maggio. “Un servizio che curiamo noi e che continuerà sicuramente fino alla fine dell’anno. Le prime due settimane abbiamo appeso il cartello con la proposta del delivery alle nostre vetrine e abbiamo effettuato tante consegne a piedi, nel quartiere: è un bel segno”, racconta. Il progetto si chiama Casalchimia, con un claim che recita Veniamo da te in punta di piedi. “Nel weekend ci porta tanto lavoro, è una gioia, tra l’altro abbiamo notato che non prenotano singole coppie, ma si tratta di delivery per gruppi di 8-10 persone, in genere il minimo è un ordine per 6”, prosegue Tasinato. Forse sono cambiati consumi e abitudini? Di sicuro, come racconta il patron, da quando il ristorante ha riaperto - soprattutto durante la settimana - c’è stato un calo degli ordini, con una media di due delivery a sera, ma il bilancio è positivo.
“Curando personalmente il servizio, ho avuto un contatto diretto, soprattutto con i primi 5-10 delivery. Quando citofonavo e vedevano me, per i clienti era davvero una sorpresa, sembrava avessero visto Belen (ride, ndr). Il rapporto con i clienti si è rafforzato, molti - durante i primi delivery - mi chiedevano quando avremmo riaperto. E le stesse persone sono state le prime a tornare al ristorante, una volta tirata su la saracinesca”, racconta il giovane patron. “È come se avessero detto: tu sei venuto da me e ora io vengo da te”, aggiunge.
Interessante, poi, il punto di vista di Tasinato, uomo di sala che ha cercato di dare attenzione il più possibile ai clienti con il delivery, per cercare di non far sentire la mancanza dell’esperienza al ristorante e della sua accoglienza. “Oltre a presentarci umanamente e personalmente con i nostri mezzi, e a comprare il packaging più giusto e carino possibile, laddove conosciamo l’ospite, cerchiamo di personalizzare. Per esempio, se so che ama l’Americano, gli inviamo a sorpresa il cocktail. È un gesto che in un momento storico come questo la gente apprezza tantissimo. Oppure, prendiamo un chilo di riso di qualità e lo aggiungiamo nel pacchetto: è quella coccola che al ristorante, prima o poi, avresti offerto”.
Un regalo, un’attenzione, per dare l’idea di regalare qualcosa in più. “Il delivery è una cura, un servizio vero e proprio: non si effettua solo quando fa comodo, ma bisogna essere sempre a disposizione delle persone”, conclude Tasinato.
Viaggiare con il palato: delivery e cucina orientale, il boom a Milano
Tra i primi a essersi attivati con la consegna a domicilio, molti ristoranti di cucina orientale. Attività che a Milano hanno ricevuto un bel riscontro dal delivery, tanto che, nella maggior parte dei casi, hanno deciso di proseguire il servizio o di istituirlo come costante dell'offerta gastronomica.
Wicky's Food & Wine Delivery e il nuovo business lunch consegnato a domicilio
Tra questi c’è lo chef Wicky Priyan di Wicky's Innovative Japanese Cuisine, che ha riaperto il suo ristorante venerdì 12 giugno, ma che non ha mai interrotto la consegna a domicilio per tutto il lockdown. Tra i primi ristoranti fine dining ad avere introdotto il servizio, il suo “delivery di lusso”, in taxi, ha avuto un bella risposta. Tanto che lo chef, fuoriclasse della cucina nipponica, con la riapertura ha addirittura lanciato un nuovo servizio, il business lunch in versione delivery, ispirandosi proprio alla tradizione del Sol Levante.
Dalle proposte classiche ai nuovi lunch box in stile kaiseki, che si rifanno ai caratteristici bento giapponesi, ecco apparire sul suo e-shop declinazioni diverse del delivery pensate per il pranzo, magari per la pausa in ufficio o all’aria aperta, in quelle che possiamo definire le nuove “mense diffuse”.
“Mi sono ispirato al tipico Ekiben, che tradotto significa il ‘pranzo della stazione’, pensando al mio periodo in Giappone e ai miei viaggi”, racconta Wicky. E così, lo chef rivisita in chiave ricercata il classico lunch box offerto dalle stazioni di servizio in Giappone, con proposte che includono piatti iconici come l’Edomae nigiri, il mitico maialino e il gindara (merluzzo nero), ma anche proposte inedite come il polpo, la cipolla di Tropea con sake e mirin o gli asparagi nimono (stufati).
Box che non mortificano l‘arte dello chef, ma anzi capaci di valorizzare la sua abilità in cucina, includendo preparazioni che declinano tutte le principali tecniche di cottura: dalla marinatura alla frittura, dallo stufato al vapore. Con l’immancabile fil rouge del dashi, il brodo limpido giapponese.
Il delivery e l’evoluzione del Finger’s Garden, tra nuovi spazi e nuovi clienti
Un altro chef molto attivo sul fronte del delivery è Roberto Okabe del Finger’s Garden, che con la sua raffinata cucina di ispirazione nippo-brasiliana non ha mai perso il contatto con la clientela, tra i primi ad aver introdotto il delivery, all’inizio del lockdown.
Lo chef, nel frattempo, ha riaperto il ristorante con qualche novità: i lavori fatti ad hoc nel giardino hanno aumentato la capienza della parte esterna, tra il dehors e il giardino stesso, ed è aperto anche a pranzo nel weekend, con uno speciale menu brunch. "Da quando abbiamo tirato su le saracinesche, e abbiamo fatto il nostro primo servizio, abbiamo notato alcuni clienti nuovi. Sin dalla prima serata di servizio, abbiamo lavorato più di quanto ci aspettassimo, e ci ha fatto piacere vedere che le persone hanno pensato al nostro locale come a un posto sicuro in cui trascorrere una serata, sicuramente grazie al nostro giardino e ai grandi spazi di cui disponiamo. Alcuni di questi clienti 'nuovi' ci hanno detto di averci 'scoperto' proprio con il delivery e di essere venuti a trovarci per vedere il ristorante con giardino, dove non erano mai stati", racconta lo chef.
Un bilancio finale sul delivery? “Per noi è stata una novità che abbiamo affinato cammin facendo. In realtà, avevamo già in programma di attivare il delivery, il lockdown ha in un certo senso accelerato il processo e ci ha dato il coraggio di iniziare. È anche per questo che siamo stati tra i primi a essere pronti con questo tipo di servizio”, risponde Okabe.
“All’inizio ci siamo affidati a Mymenu, man mano che il numero di clienti è aumentato e hanno cominciato a chiamare direttamente il ristorante, ci siamo attrezzati per rispondere al meglio alle esigenze della nostra clientela (per esempio utilizzando i taxi per consegnare). Sin dai primi di marzo, nonostante la situazione dei contagi fosse davvero molto allarmante, abbiamo notato una crescita costante degli ordini. Inoltre, abbiamo notato come gli stessi clienti ordinassero con una certa regolarità, e non solo in maniera sporadica, come se alcuni avessero una sorta di "appuntamento fisso" con Finger’s. Questa esperienza per me è stata molto positiva perché con il ristorante chiuso ho avuto la possibilità di tornare in cucina e dedicarmi alla creazione di nuovi piatti. Da questo punto di vista posso dire, per quanto mi riguarda, di aver vissuto il lockdown come un’opportunità importante e credo che abbia determinato un cambiamento nella nostra cucina. Anche i clienti si sono accorti del cambiamento e questo mi ha reso molto felice e soddisfatto, perché significa che siamo stati in grado di "trasformare" un momento complicato in un'occasione per migliorarci e crescere ulteriormente”, conclude lo chef.
Il delivery di Dim Sum: un successo destinato a continuare
Ha una clientela glamour, fatta di affezionati e di appassionati di cucina orientale, che trovano nei caleidoscopici morsi cinesi una piacevole risposta alla fame. Anche il Dim Sum, primo format milanese nato con una proposta incentrata sui dim sum, appunto, si è lanciato nell’avventura del delivery, con buoni risultati. E senza mai perdere l’approccio elegante e raffinato che lo contraddistingue.
“Con il delivery abbiamo fatturato il 40% della ristorazione di questi ultimi mesi. Non avendolo mai fatto, non me lo aspettavo, è stata una sorpresa, tanto che penso lo porteremo avanti fino a settembre, o addirittura fino alla fine dell’anno”, racconta il patron Yike Weng. “Nella maggior parte dei casi sono nostri clienti habitué, e in altri nuovi: è un servizio che curiamo personalmente, talvolta anche con il taxi, sia a pranzo che a cena, tutti i giorni”, prosegue. Segni particolari del servizio? Un packaging curato, una minuziosa suddivisione dei golosi ravioli nei singoli contenitori, bacchette e borse blu personalizzate.
Come è andato il delivery dopo la ripartenza? “Adesso che abbiamo riaperto il ristorante è diminuito ovviamente, però la gente continua a ordinare perché qualcuno preferisce comunque restare a casa. Stiamo lavorando a nuove idee, a partire da una personalizzazione del servizio a domicilio ancora più forte, con sacchetti rigidi e contenitori nuovi”.
Panini & Co, ecco come è cambiato il delivery dei brand replicabili
Per molte attività l’emergenza Coronavirus ha rappresentato anche lo spunto per reinventarsi e trovare nuovi modelli di business, come vi abbiamo raccontato qui. Ma ci sono casi di brand che erano già attivi sul fronte della consegna a domicilio, o comunque con format che si prestavano a questo tipo di servizio. Come è cambiato il loro approccio?
Scopriamolo qui di seguito, con la testimonianza di alcune delle attività che si sono riunite in Ubri, Unione Brand Ristorazione Italiana, associazione nata a fine lockdown per creare nuove sinergie tra aziende affini, incentrate su format replicabili.
Dal debutto di Bun nella Cook Room di Glovo all’esperienza di Pescaria
Alcune insegne hanno puntato sulla consegna a domicilio, appoggiandosi direttamente ai servizi di food delivery. È il caso di Bun, che ha debuttato a Milano durante il lockdown, nella Cook Room di Glovo. “Abbiamo replicato, con il solo delivery, lo stesso fatturato del locale di Arese (dove è nato, ndr), che era partito con ottimi risultati, e questo ci ha spinto a rimodulare il futuro prossimo del brand mettendo al centro della nostra strategia questo modello che, nello scenario che si prospetta, si configura come l’unico possibile. Se prima avevamo in programma l’opening di 3 fast food classici, oggi avviene esattamente il contrario, ovvero vogliamo spazi pensati in primis per il delivery e solo successivamente adattabili a un’attività di somministrazione tradizionale”, racconta Danilo Gasparrini, co-founder e amministratore delegato di Bun.
Dati importanti, che hanno permesso di stare vicino ai clienti, ma anche di sperimentare nuove modalità di vendita con un bell’incremento, hanno segnato il percorso di Pescaria, celebre insegna pugliese presente anche a Milano e Torino, vocata ai panini di mare. “Abbiamo, già dal 2016, un accordo di esclusiva con Glovo, che l’anno scorso, grazie ad azioni di marketing specifiche ci ha portato circa 750.000 euro di fatturato, il 15% del totale. Il 2020 era un anno in cui puntavamo a raddoppiare il fatturato unendo a Milano i ricavi di Roma, Bologna e Torino. Il lockdown è stato in questo quadro un fulmine a ciel sereno, tuttavia Pescaria non ha mai chiuso e non ha mai interrotto il delivery neanche un giorno, né su Milano né su Torino, e abbiamo addirittura aumentato l’incidenza del fatturato fino al 20-25% su quello che sarebbe stato il ricavo teorico con lo store aperto”, spiega Domingo Iudice, co-founder e chief marketing officer di Pescaria.
“Un esperimento molto importante è quello che abbiamo fatto a Polignano: un progetto di delivery programmato, dove abbiamo previsto 10 consegne al giorno su 5 paesi (che poi sono diventati 7). Apertura del servizio con una waiting list, visto che era un servizio limitato. È andato molto bene, ad oggi il giro di affari del delivery in 30 giorni si attesta intorno ai 120.000 euro. In Puglia abbiamo lo stesso livello di ordini di Milano, nonostante lavoriamo in un luogo che misura un terzo rispetto al capoluogo lombardo. Facciamo solo consegne dirette, quindi 5 giri di consegne a pranzo e altrettanti a cena, e ci sta dando delle ottime soddisfazioni. Ritengo che il delivery e il take-away non cambieranno il mercato della ristorazione, nel senso che i ristoratori continueranno a fare il loro lavoro, sono però delle modalità di somministrazione complementari che oggi stanno guadagnando terreno piano piano, perché ci permettono di servire un mercato che ha delle esigenze nuove, dettate non tanto dal consumatore quanto dal sistema cambiato in seguito all’emergenza sanitaria”, conclude.
Dal delivery dolce di Cioccolatitaliani al ritorno di Bento come virtual brand
Durante il lockdown, il gelato a domicilio ha rappresentato una grande coccola. Lo sa bene Vincenzo Ferrieri, founder e vicepresidente di Cioccolatitaliani, per cui il delivery si è rivelato un ottimo strumento di marketing. “Ci ha permesso di non spegnere il marchio nella testa dei clienti in questi due mesi, quindi per noi è stato un grande canale per tenere il brand vivo, come credo sia stato per tutto il settore della ristorazione in generale. Il secondo motivo è che il canale dolciario, del gelato, ha triplicato i suoi valori precedenti e così anche noi come Cioccolatitaliani siamo riusciti a triplicare i nostri volumi precedenti del comparto delivery, quindi in un modo o in un altro ci ha aiutato. L’abbiamo fatto migliorando l’experience del prodotto che arrivava a casa delle persone. Abbiamo studiato un packaging più bello, più accattivante, che contenesse tante altre cose come i coni, i fusi, cose che prima non aveva il kit gelato”, spiega.
Evoluzioni anche nell'azienda di Tunde Pecsvari, co-founder e amministratore di Macha Cafè, che sigla sette store vocati all'healthy food a Milano, con uno in arrivo a Torino (l'inaugurazione era prevista il 15 marzo, ora slitta al 24 giugno). "Noi abbiamo sempre fatto delivery, dal primo giorno di apertura. Il nostro prodotto è studiato per essere molto adatto per questo tipo di servizio e abbiamo, al quarto anno di attività, una base clientela molto ampia e un ottimo avviamento del marchio sulle piattaforme di delivery. Durante il lockdown anche il delivery ha subito un forte rallentamento, percepibile da chi aveva già una base storica su questo segmento. Per noi, che non abbiamo mai chiuso nemmeno un giorno il servizio di delivery, è stato e rimarrà un’opportunità innanzitutto per rimanere in contatto con la nostra clientela e lasciare attivo e visibile il nostro brand", spiega.
"Abbiamo approfittato di questo periodo per rafforzare e ampliare il nostro secondo brand, Machapokè, che era nato un anno fa solo come virtual brand per il delivery e, successivamente, ha aperto due punti vendita anche fisici. Inoltre, abbiamo realizzato un virtual brand del tutto nuovo, Fish’n Burger, che sta dando ottimi risultati. Proponiamo panini o hamburger di pesce, sia con ricette realizzate da noi che con la formula “build your own”, molto apprezzato dai clienti", prosegue.
Ma lo sviluppo del delivery per Pecsvari ha rappresentato anche l'occasione di riportare sul mercato il brand di Bento, uno dei primi amatissimi sushi restaurant di Milano, dall'approccio creativo (la sua società lo aveva chiuso nel 2018, dopo averlo gestito per 14 anni). "A giugno abbiamo rilanciato il brand di Bento come ghost kitchen: oggi è un virtual brand su Deliveroo e Glovo, con la stessa proposta e lo stesso storico sushiman, Merwin De Leon", racconta Pecsvari, che sul fronte servizio a domicilio si è mossa pure con l'Osteria Brunello, altro suo ristorante di corso Garibaldi, per cui ha creato la linea Gastronomia Brunello come proposta parallela e costante del ristorante.
"Non è la consegna a domicilio che risolve i problemi dei ristoranti, ma è un’attività complementare, e comunque ormai molto importante: noi non riusciamo più a concepire una ristorazione senza delivery", conclude con grande lucidità l'imprenditrice.