Primo giorno
Milano è pronta a tornare alla normalità, il decreto di chiusura dei ristoranti è stato ritirato e nel mio quartiere ha riaperto il ristorante di pesce siciliano a conduzione familiare. Siamo i primi ad entrare. Dopo tre mesi a base di tacchino freddo senza l'accenno di un fritto misto non vedo l'ora di mangiare un po' di deliziosa frittura.
Guantati e mascherati, i fratelli che si occupano dell'accoglienza (il papà è in cucina) nonostante mi conoscano da molti anni mi hanno accolto nervosamente. Forse temono che io possa essere un ispettore sanitario o la mia mascherina N95 li mette a disagio.
"Pensiamo di aver fatto tutto bene", dice uno dei fratelli, mentre si guarda intorno. Ci racconta di come abbia implementto le misure di allontamento sociale e sembra abbastanza certo di aver compreso e applicato le varie normative. "Non è un metro di distanza facia a faccia, ma un metro da schiena a schiena". Siamo felici che l'annosa questione di queste ultime settimane, sia stata finalmente chiarita.
Un mare di tavoli non apparecchiati rende questo luogo decisamente meno accogiente. Sono scomprasi i cestini di vimini, i menu in ecopelle anni '80 così come tutte le altre misure di sicurezza. Una mano guantata sfiora accidentalmente la mia, non appena prendo posto e sono scuse a non finire, mentre penso alla bottiglietta di disinfettante che ho in borsa.
Il ristorante è stranamente vuoto, con davvero pochi commensali. Una serie di avvisi stampati su dei cartelli decorano il locale impedendoci di dimenticare che siamo nel bel mezzo di una pandemia e non facendomi godere del tutto i miei calamari.
Tre giovani sono seduti (relativamente) vicini a noi, ma le sedie tra loro sono così distanti che uno trova più interessante guardare il proprio telefono.
Non restiamo molto a lungo. Il locale è praticamente deserto e c'è molto nervosismo. Abbiamo avuto il nostro fritto misto e ora possiamo tornare al calduccio nella nostra prigione degli ultimi tre mesi dopo aver passeggiato alla luce della luna, protetti dalle nostre mascherine.
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Secondo giorno
Alziamo il tiro un po' di più. Stasera è la prima volta che usciamo a cena con gli amici dopo il lockdown.
Siamo tutti un po' impacciati, ci teniamo a distanza nel salutarci e improvvisiamo una sorta di balletto attorno al tavolo fino a quando non siamo seduti e comodi. Questa coppia di amici è alla sua prima volta fuori dopo la "quarantena", dietro le mascherine immacolate i loro sguardi sono spalancati. Sono dei novellini.
Il nostro tavolo viene spinto fin dentro una siepe al punto che i ramoscelli cercano di infilarcisi nelle orecchie ad ogni movimento sbagliato. È un distanziamento sociale a livelli estremi. Il nuovo menu online e la quantità di persone che mangiano all'aperto ha chiaramente rovinato la normale efficienza del servizio del ristorante.
Ad un altro tavolo, una coppia sta cenando seduta a tavoli diagonalmente opposti. Quelli che non vivono insieme non possono mangiare se non così. All'interno del ristorante, un tavolo da biliardo adattato per la cena ospita un gruppo di donne che cerca, a fatica, di avere una conversazione normale senza urlare.
Terzo giorno
È il secondo giorno di riapertura di questo famoso ristorante di Milano. Arriviamo raggianti dopo una camminata di mezz'ora al sole. Fortunatamente, lo scanner termico che punta minacciosamente alle nostre tempie non ci tradisce. Ci igienizziamo le mani e ci sediamo ad un tavolo con un'altra coppia all'estremità. Passati alcuni istanti di tensione e di analitici sguardi reciproci, iniziamo la cena.
Il menu digitale, consultabile tramite QR code, ci mette un po' in difficoltà che stemperiamo grazie ad alcuni grissini. Ci viene servito un piatto di risotto dorato reso ancora più gustoso dal personale di sala, allegro e vivace, che ci spiega tutte le nuove procedure igieniche. Comincio davvero a pensare che ci abbiano scambiati per due ispettori alla salute e sicurezza.
Mascherine a parte, sono pochi i ricordi del nemico in agguato, infatti con meno coperti questo ristorante ha acquisito ulteriore fascino.
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Quarto giorno
Finalmente anche i confini regionali vengono riaperti ed è tempo di andare nelle Langhe, nel vicino Piemonte. Forse mangiare in campagna sarà meno stressante?
"Ricordatevi di indossare le mascherine quando entrate e di rimetterle qualora doveste andare in bagno o al momento di uscire", così il ristoratore, nostro amico, ci chiama per spiegarci le regole della casa. "Mi dispiace, ma ho avuto un sacco di problemi ieri sera", continua. Sembra che alcuni turisti appena arrivati in Piemonte abbiamo molte difficoltà a seguire le regole.
Anche con indosso le maschere non restiamo delusi. Ci sentiamo come sempre a casa, qui. La vista sui dolci vigneti e una bottiglia di Barbaresco fanno meraviglie per l'anima e perfino lo "spritz" di disinfettante che ci progette dai nemici invisibili su sedie, tavoli e menu, sembra quasi piacevole.
Quinto giorno
Decisiamo di cenare nell'ultimo ristorante dove siamo stati prima della chiusura forzata. È pazzesco pensare che sia successo più di tre mesi fa prima di fuggire da Milano per evitare di restare bloccati in città.
Il proprietario è un omone che, diversamente dal solito, ci porge il gomito educato invece del solito abbraccio. Anche qui l'atmosfera sembra essere sempre la stessa: "Poteva andare peggio" ci spiega e aggiunge di aver vissuto i tre mesi di chiusura senza nemmeno esagerare con il vino.
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Sesto giorno
C'è poco da segnalare su questa Osteria di fiducia in centro-città. La titolare ha allineato i tavoli più grandi sotto il portico e a parte i tovaglioli usa e getta, la tovaglia di carta e la cameriera mascherata, non sembra che sia cambiato poi molto.
Settimo giorno
Andiamo a mangiare la pizza in un ristorante a conduzione familiare. Stasera fa freddo e tira vento e sembra che nessuno voglia mangiare all'interno. La sala, infatti, è vuota quando di solito la domenica è sempre affollato. Un'intera città si è quindi organizzata con la pizza da asporto.
Un'enorme lavagna-menu viene trascinata al nostro tavolo solitario per permetterci di ordinare. In questa atmosfera totalmente rilassata possiamo assaporare la nostra Capricciosa senza alcuna preoccupazione, fino a quando non è tempo di indossare di nuovo la mascherina e andare via.
Siamo diventati esperti, ormai. La trepidazione delle prime volte si è trasformata in fiducia e non c'è posto migliore che un ristorante familiare. La nuova normalità sta prendendo il sopravvento sulle vecchie abitudini, ma sicuramente saranno i locali a conduzione familiare quelli che ci faranno venire voglia di uscire a mangiare fuori. Notte dopo notte, mascherina dopo mascherina, serrata dopo serrata.