Era il 27 ottobre dell'anno scorso, un venerdì, quando a Roberto Conti è stato proposto di diventare executive chef del Trussardi alla Scala. Una risposta da dare il lunedì, solo il weekend per pensarci su. Dopo aver chiesto consiglio a Carlo Cracco ("È quasi come un padre per me, mi rivolgo a lui per qualsiasi dubbio") Conti ha accettato, ma con molti dubbi, perché "Avevo paura di far perdere credibilità al ristorante". E invece, un anno dopo, il trentaduenne di Vigevano tiene saldamente le redini del ristorante, che ci spiega con orgoglio essere sempre pieno sia a pranzo che a cena.
Un anno, tempo di bilanci: l'abbiamo incontrato per fare il punto sulla sua carriera al Trussardi, ripercorrere i suoi primi passi nel settore e parlare dei suoi obbiettivi per il futuro.
Roberto Conti e la cucina: quando è cominciata?
In realtà mi ero iscritto al liceo scientifico. Il cibo, però, rimaneva la mia passione: i ricordi più nitidi che ho sono il risotto di mia mamma la domenica o andare nell'orto con mio nonno. Tornavo da scuola e cucinavo. Mi ricordo una sera, avevo deciso di preparare il prosciutto alla pizzaiola: sono andato in macelleria con mia mamma e le ho fatto spendere 20.000 lire di prosciutto. Quella sera a tavola mia sorella ha detto "Mandiamolo all'alberghiero", e così hanno fatto.
Quali sono state le sue prime esperienze nei ristoranti?
Ho fatto tante tappe. Sicuramente una delle più frande soddisfazioni è stata diventare sous chef a 19 anni al ristorante Da Maria, una delle tavole storiche di Vigevano, che una volta era stato il ristorante di punta della città e che siamo riusciti a far tornare di nuovo tra le segnalazioni della Guida Michelin. Due anni dopo ero diventato chef.
Sentivo però il bisogno di andare via e intestire su di me. Ho quindi fatto un periodo al Joia con Pietro Leemann. Un'esperienza straordinaria, specialmente per me che ho sempre amato le verdure e mangio 4/5 insalate al giorno. Leemann è stato una guida straordinaria anche dal punto di vista umano: ha un approccio delicatissimo, elegante ai ragazzi in cucina.

E poi arriviamo al Trussardi alla Scala, sei anni fa.
Ho cominciato sotto Andrea Berton. Appena sono arrivato mi ha messo a fare panini al bar: una sfida bella per me, che ho sempre amato gli ambienti competiitvi. Dopo qualche anno mi avevano chiamato in un ristorante stellato a Londra: lui ha stracciato la mia lettera di dimissioni e mi ha promosso junior sous chef. E quando è arrivato Luigi Taglienti ha voluto tenermi.
Come ha cambiato il menu da quando, un anno fa, è diventato executive chef?
Volevo cambiare tutto il prima possibile per rimarcare subito il cambio. Ho puntato sulla materia prima, partendo da piatti più morbidi e leggibili e arrivando alla cucina che facciamo adesso, più di carattere. Siamo pieni sia a pranzo che a cena e sono contentissimo. Per me il vero genio è quello che riempie la sala.
Abbiamo clienti che tornano ogni settimana, e cerco di assecondare i loro gusti: se mi chiedono uno spaghetto all'astice glielo faccio, ecco.

Come definirebbe la cucina che si trova adesso al Trussardi?
"Tradizionale rivisitata" lo dicono tutti, giusto? Diciamo che cerco di mettere il meno possibile nei piatti e quello che metto deve essere perfetto. Cerco l'eccellenza nel prodotto proprio come una casa di moda come Trussardi lo cerca nei tessuti. Mi piace l'idea di non essere legato alla carta e lavorare in base alla stagione: sono molto legato all'autunno e alla selvaggina.
È difficile tenere i ritmi di lavoro di un ristorante così?
Per me no. Non vado mai in vacanza, e quando ci vado mi annoio e preferisco fare consulenze nei ristoranti. In sei anni ho perso solo 2 giorni di servizio e non ho mai fatto un'assenza! La mia vita è questa, i miei sogni sono qui.