Meglio non trarre conclusioni affrettate. Anche per il cibo più ordinato via delivery prima della pandemia, non sono stati due anni facili. Non lo sono stati per nessun ristoratore con dipendenti e conti da pagare, ovvio, ma lo sono stati ancora meno per chi il cibo più pop lo aveva innalzato a creazione gourmet.
Parlare di pizzerie in modo generico è un po’ come parlare di ristoranti: non sono tutti uguali. C’è chi lavora con la clientela di quartiere con servizio al tavolo, asporto e consegna a domicilio, ma c’è chi negli anni è diventato un destination restaurant a livello internazionale e ha fatto evolvere la pizza grazie a una ricerca pari a quella dell’alta cucina.
Per scoprire veramente cosa è successo nell'anno più difficile del settore bisogna quindi interpellare pizzaioli di città e di provincia (spesso di profonda provincia), da Nord a Sud, di fama o emergenti. Lo abbiamo fatto, per rendere le proprie esperienze e idee patrimonio comune.
Un'idea alla base della campagna S.Pellegrino #SupportRestaurants, che mira a dare visibilità e supportare tutti i talenti della ristorazione, per una ripartenza che sia di slancio davvero per tutti.
A Caiazzo un patto con il cliente
Franco Pepe ha portato la cultura della pizza in giro per il mondo, ma ha soprattutto portato negli ultimi anni a Caiazzo 13-14.000 persone ogni mese, che sera dopo sera affollavano il vicolo davanti a Pepe in Grani in una sorta di pellegrinaggio con assembramento garantito. La sua pizza prima che eccellenza gastronomica è diventata per un paesino semi-spopolato del Sud Italia un motore turistico, un moltiplicatore economico e un esempio di sistema-territorio. Con il lockdown le vie del paese sono rimaste deserte e silenziose, loro hanno chiuso i battenti e si sono messi a lavorare, a porte chiuse, pensando al dopo: a come reinventare la pizza un’altra volta, questa volta focalizzandosi sull’ospitalità.
“Ai clienti bisognava dare una possibilità diversa di godere dell’esperienza da noi, ma in sicurezza e non ci siamo accontentati della distanza di un metro fra i tavoli. Le istituzioni danno delle regole generiche minime, che noi abbiamo interpretato in modo più rigoroso del semplice metro di distanza. Abbiamo fatto in modo che le prenotazioni non si accavallassero più e abbiamo attivato una App per gestirle, abbiamo aperto anche il lunedì, installato dei sensori sui bagni con un segnale luminoso per fare in modo che le persone non si alzassero inutilmente girando per il locale. Ma sapevamo che senza la collaborazione del cliente non si sarebbe raggiunta la vera sicurezza, ed ecco che allora abbiamo creato il Patto di Alleanza con il cliente. Lo abbiamo responsabilizzato e coinvolto nella sua sicurezza, spiegandogli le novità e invitandolo a gesti semplici, chiedendogli ad esempio di riporre le posate usate dentro il portaposate per limitare il contagio”.
Ha funzionato, e nei pochi mesi di riapertura hanno fatto accomodare 46.000 persone. Non paghi, durante il secondo lockdown è nato il progetto di Proxima, per portare fuori da Caiazzo non solo la pizza di Pepe, ma l’esperienza di Pepe in Grani nel suo complesso.
Una smossa, e un servizio in più
“Il lockdown e questa voglia di cucinare in casa ha dato un nuovo valore al lavoro del pizzaiolo. Provando a farla da sé, la gente ha capito quanta passione e quante variabili stanno dietro ad una buona pizza”. Denis Lovatel della Pizzeria Da Ezio è fiducioso e riconosce che il cambiamento più radicale è stato il delivery: “La pizza è sempre stato un piatto fra i più consumati da asporto, ma questa volta anche chi faceva una pizza contemporanea o gourmet si è dovuto adeguare e pensare nuovi servizi ad hoc, innovativi anche nel pack. Ha dato una smossa al settore, perché è nelle crisi che si aguzza l’ingegno”.
Il sistema territoriale virtuoso dei Fratelli Salvo
Foto Aurora Scotto di Minico
Al netto delle difficoltà, il lockdown per i fratelli Francesco e Salvatore Salvo ha rappresentato l’opportunità per dedicarsi allo studio, per approfondire tecniche gastronomiche e per ideare nuovi progetti e legami territoriali: tutte tessere che arricchiscono un mosaico costituito da una lunga tradizione familiare e una ricerca continua sul prodotto. Le due pizzerie che gestiscono, a San Giorgio a Cremano e a Napoli, esprimono la duplice natura che anima il loro lavoro: la territorialità e la sperimentazione. E il confinamento è stata l’occasione per lavorare sui due fronti.
“Ho seguito una serie di corsi di cucina - con Salvatore Bianco, Giuseppe Iannotti, Piergiorgio Giorilli - soprattutto per migliorare le tecniche di cucina per i topping, in modo da trasformare il prodotto e avere idee più personali, ma anche per arricchirmi culturalmente, continuando il percorso degli ultimi anni, accanto ai grandi chef che abbiamo coinvolto in cicli di cene a quattro mani”, racconta Salvatore.
“Abbiamo usato il tempo libero per ideare il nuovo menu per ogni stagione dell’anno, per entrambe le pizzerie: se a Napoli scommettiamo, in particolare, su pizze preparate con ingredienti trasformati con moderne tecniche, come la marinatura a freddo per carne o pesce e le affumicature leggere, a San Giorgio abbiamo voluto stabilire un ulteriore legame con il territorio, cominciando a stringere rapporti con produttori locali, che si sono impegnati a coltivare per noi ortaggi quasi spariti, come il pisello centogiorni o le antiche varietà di San Marzano”, spiega. Ma c'è il progetto di una nuova rete all'orizzonte. “Firmeremo un protocollo d’intesa con i produttori che appartengono alla Comunità Slow Food agricoltura sociale del Vesuvio: l’idea è quella di sostenere il territorio e l’economia locale nel post Covid, ma anche la biodiversità”. Un’idea che parte dalla pizza, per creare un vero e proprio sistema territoriale virtuoso.
E così nacquero 15 virtual brand
In città la situazione sarà stata quindi più facile, grazie ad App di delivery e distanze ravvicinate? Mica tanto. Con un modello di business basato sulla ristorazione tradizionale, attivare un servizio di delivery non significa certo far quadrare i conti.
Nanni Arbellini è un pizzaiolo navigato ma è soprattutto patron di Locanda Carmelina, founder della catena Pizzium e co-founder della pizzeria Crocca, a Milano. Fra format e locali guida una decina di locali, e la responsabilità di 300 famiglie: "Con la creatività, l'intuizione, e grazie alla lettura del mercato in costante evoluzione, in tutte le nostre realtà abbiamo creato più di 15 virtual brand, abbiamo diversificato l'offerta, pur di fatturare per ridurre le perdite ai minimi termini e mantenere in operatività i nostri collaboratori. Dalla specializzazione nel servizio in sala sono diventati rapidi nella preparazione degli ordini in asporto e delivery”.
Sono nati così brand come Nùpoke di pokè all’italiana; gli hamburger di Burghi; Nanni’s dedicato ai piatti della tradizione; Piadaz per le piadine; Fishettino, con un il suo street food di pesce; Gragna, con i saltimbocca di Gragnano; Numaki, con coloratissimi maki.
Sabrina, la pizzaiola emergente che costruisce mulini (a vento)
Sabrina Bianco, vincitrice del premio come Pizzaiolo Emergente nella Guida Pizzerie d’Italia 2021, lavora nella pizzeria Borgo Rosso di Sera, a San Lucido, un borgo affacciato sul mare in provincia di Cosenza. Lavora con grani antichi, serve vini TripleA e a 29 anni ha tutta l’energia per affrontare quello che sarà a testa alta.
“Io, da giovane pizzaiola e panificatrice, ho cercato di sfruttare questo periodo storico per dedicarmi ancor di più alla formazione. Molti si sono dedicati al delivery, io mi sono dedicata alla ricerca, ho visitato molte aziende della mia terra, la Calabria, pianificando insieme il momento della ripartenza. Quando torneremo alla normalità voglio essere pronta, impeccabile e con il migliore dei sorrisi. Il Covid ci ha tolto tanto ma ci ha insegnato anche e soprattutto a non mollare”. La ristorazione si è dovuta reinventare? Cita un proverbio cinese: "quando soffia il vento del cambiamento, alcuni costruiscono ripari ed altri mulini a vento". La pizza italiana pare in pochi mesi aver fatto un’intera transizione energetico all’eolico.
Ricette da trasporto e kit da montare
In meno di un decennio il livello della pizza si è alzato talmente tanto da non poter scendere più al compromesso di infilarla dentro una scatola di cartone e affidarla ad un rider come se niente fosse. È un problema di calore, certo, ma anche di topping, temperature degli ingredienti e di complessità delle preparazioni.
Sono nati così i kit con basi precotte e tutti gli ingredienti con cui assemblare e infornare le pizze a casa. Li propongono start-up come Selfpizz in versione classica, come Margherita o Bufala, e le dark kitchen hanno studiato ricette ibride super croccanti, come la pizza di Lievito Mother F***** a Milano, quasi un padellino e pensata per reggere la consegna in spalla alle biciclette dei rider.
La creatività non è andata sprecata e anzi, come spesso accade, ha fatto fare un’accelerazione in avanti al settore, avvicinandolo al cliente. Paradossalmente proprio nei mesi del distanziamento sociale.