Le prime notizie di una salsa di soia ci arrivano dall’Antica Cina, intorno al 3000 A.C. Si chiamava “jan” e consisteva nel liquido che si formava dopo aver messo sottosale degli alimenti al fine di conservarli. Per una versione più simile a quella attuale, si deve aspettare l’era Tensho, verso il 1580 D.C., quando una salsa a metà tra quella di soia e la pasta miso iniziò a essere venduta in grandi quantità. Pensate che in un antico registro nel 1588 è stato trovato un ordine di 18000 litri salsa di soia da Kishu a Osaka. È solo nell’era Edo (verso il 1688), però, che la salsa di soia inizia a diffondersi in tutto il mondo, specie grazie alle navi mercantili olandesi. Oggi non ci sono dati precisi su questo particolare mercato, ma basti pensare che il fatturato 2014 di Kikkoman, il leader del mercato, ha superato i 3,3 miliardi di dollari.
QUESTIONE DI INGREDIENTI
Ma qual è il segreto della salsa di soia? Partiamo dagli ingredienti. Ovviamente c’è soia, sotto forma dei celebri “fagioli”. Di solito si usa la più diffusa, quella dai grani gialli. In alcuni casi, poi, c’è farina di grano, che si utilizza in parti uguali alla soia nelle salse non (o poco) fermentate. La tradizione non la contempla, e nemmeno i puristi: siete avvertiti! Poi, com’era da immaginarselo, c’è il sale. Molto, moltissimo sale: ce ne vuole dal 12 al 18% del peso finale di salsa da ottenere. Ha molteplici funzioni: la principale è creare un ambiente adatto alla fermentazione, ma è anche importante come conservante. Infine, ovviamente, contribuisce al gusto unico della salsa. Con questi ingredienti, la produzione della salsa può avere inizio.
PASSO DOPO PASSO
Si parte con la fermentazione, per ottenere il Koji. Dopo aver selezionato accuratamente i migliori fagioli di soia, si frullano e si aggiunge dell’acqua. Il composto, poi, è fatto bollire fino a ottenere una purea morbida. A questo punto si spegne e si fa raffreddare fino a 27 °C e si aggiunge una muffa. Niente paura, si tratta di una muffa alimentare, il famoso Aspergillus, che dà ufficialmente inizio alla fermentazione. Il processo dura per tre giorni e avviene in un recipiente traforato. Alla fine, ecco il prezioso Koji.
L'ARTE DI SAPER ASPETTARE
Il Koji è trasferito di solito in piccole botti, dove si aggiungono acqua e sale, per formare il così detto moromi, a cui si uniscono lieviti e batteri lattici. La fermentazione, ora, prosegue per alcuni mesi, durante i quali si forma in liquido denso di colore rosso-marrone. Dopo circa sei mesi si ottiene la salsa di soia grezza, che viene filtrata con panni naturali puliti. Il liquido filtrato viene quindi pastorizzato, sia per migliorarne la conservazione, sia per aumentare il numero di composti aromatici (ce ne sono più di 200!). Una volta raffreddato il liquido, la salsa di soia è pronta per essere imbottigliata.
Il metodo che abbiamo visto è quello tradizionale e, francamente, quello che regala più soddisfazione ai buongustai. Non richiede chissà quale attrezzatura, ma è necessario seguire qualche accorgimento. Innanzitutto, selezionate con cura i fagioli di soia, che devono essere maturi e sani. Poi, utilizzate acqua declorata (lasciatela in una bacinella per una notte) e, se possibile, piccole botti in legno dove conservare il moromi. La salsa ottenuta si conserva molto bene, per mesi, in frigo. E ovviamente, pensate a del buon sushi per inaugurare la vostra salsa.