Dagli esordi dietro al bancone a Milano al lavoro nei locali partenopei di riferimento. Oggi la seconda casa del bartender Salvatore D'Anna è l'Archivio Storico di Napoli.
Ma partiamo dall'inizio per ripercorrere con D'Anna le tappe fondamentali della sua carriera in questa intervista.
Quando e come si è avvicinato al mondo del bar?
Mi diverte sempre raccontare questa storia! Sono praticamente nato dietro al bancone di un bar: mio padre Vincenzo e mio zio Agostino negli anni ’80 aprirono una discoteca a Milano. Si chiamava Planta Blanca, un locale stupendo con un giardino enorme. Il bar, il locale, lo stile di vita hanno influenzato fin dalla nascita la mia quotidianità.
Dunque il lavoro di bartender è stata una scelta scontata?
Diciamo che i miei esordi "d'infanzia" la dicono già lunga. Era l’estate del 1998 quando così un po’ all’improvviso mio zio mi diede una postazione in mezzo a tre ragazzi esperti. Mi disse solo di darmi da fare, nient'altro. All’epoca per me era un gioco, mi veniva del tutto naturale. Stavo per finire il liceo e di lì a poco avrei iniziato la carriera universitaria, facoltà di Economia Aziendale. L’università mi ha dato una forma mentis molto importante ma nel 2006 la scena napoletana già presentava realtà serie ed importanti della mixology. Il richiamo del bar fu più forte.
C’è qualcuno che considera il suo maestro?
Senza dubbio è proprio a mio zio Agostino che devo tutta la mia passione. Nel corso della carriera ci sono però state altre figure importanti come Tiziana Bembo, la mia prima responsabile al bar, Vincenzo Chichierchia, che tra tutti è stato il bar manager che più ho fatto tribolare nelle calde estati al lido turistico. Ma forse chi più di tutti ha influenzato il mio lavoro e il mio stile è stato Carmine Nasti, barman napoletano che agli inizi degli anni 2000 era incredibilmente avanti rispetto all'intera scena nazionale. Lavorare con la follia di un genio antesignano ed innovatore ha aperto la mia mente e i miei orizzonti. Ho avuto inoltre la fortuna di lavorare in locali cult della scena napoletana: l’Ahiaii, il 66, lo Chandelier, lo S’Move.

Con tante esperienze fatte, quale ritiene sia stato il vero salto nella sua carriera?
Senza dubbio il periodo allo S’Move, una realtà napoletana creata da tre famosi dj e clubber che all’inizio degli anni ’90 portarono a Napoli l’house music e la cultura underground. Per me è stato un momento meraviglioso, il locale era forse il più frequentato della città e tutti i giorni era pieno della clientela più eterogenea, dal semplice bevitore occasionale di vino ai più famosi musicisti e dj, passando per attori americani. Gli anni trascorsi con il gruppo dello S’move sono stati molto formativi per me, sono entrato lì come bartender extra e sono uscito tempo dopo come bar manager di un locale che mi è rimasto nel cuore. E non solo per motivi professionali: lì ho anche incontrato mia moglie.
Quando è nato invece Archivio Storico?
Archivio Storico esiste dal 26 marzo 2013. È però dal 2016 che posso definirlo la mia seconda casa.
Come descriverebbe l’ambiente che si respira all'interno?
Oggi è un salotto vomerese che ha in sé la doppia identità di un cocktail bar raffinato, famoso per essere stato il primo bar di Napoli ad aprirsi alla nuova cultura dei craft cocktails sin dai primi anni, ed il più recente innesto di una cucina di chiaro stampo tradizionale, capitanata dallo chef stellato Pasquale Palamaro qui affiancato da Alberto Giocondi.

E come descriverebbe invece la sua drink list?
La cocktail list dell’Archivio ogni volta si rinnova in un tributo alla napoletanità. Cerco ispirazione anche ma non solo nei prodotti del territorio, di certo sempre cerco spunto nella cultura, negli usi e costumi di questa grande città.
Un cocktail che la rappresenta particolarmente?
Il Manhattan, classico ma mai fuori moda. Versatile per tutti i twist che se ne possono fare e soprattutto famoso per tutte le diverse ricette che hanno avuto origine partendo dalla sua formula.