“Venerdì scorso, il 26 febbraio, appena è arrivata la notizia ufficiale che la Sardegna sarebbe diventata zona bianca a partire dall’1 marzo, ho ricevuto tantissime prenotazioni per la cena”. Così racconta Luigi Pomata, per tutti “il Re del tonno”, membro dell’associazione Jeunes Restaurateurs d’Europe, chef e patron del ristorante che porta il suo nome a Cagliari. Con grande soddisfazione e coscienza ci ha raccontato com’è andato il primo giorno di apertura a cena, dopo quasi cinque mesi di stop al servizio serale. Nell'isola, secondo le nuove disposizioni che regolano la “zona bianca”, il coprifuoco scatta alle 23.30, i ristoranti possono restare aperti anche la sera, fino alle 23, mentre per i bar le saracinesche restano alzate fino alle 21.
“Direi che è andata bene, le persone ci hanno messo un po’ di paura e un po’ di cervello, nel senso che non c’è stato un super affollamento, ma abbiamo lavorato: ho cucinato per 40 coperti, che è un bel numero di lunedì e dopo un arresto per pandemia, considerando che abbiamo 50 posti a sedere in totale”, prosegue Pomata. “Speravo che la gente si comportasse così, in maniera responsabile: è un gran regalo essere bianchi, ma non dimentichiamo che tre Comuni sardi sono chiusi, in zona rossa (Bono, La Maddalena, San Teodoro, ndr)”.
Sardegna in zona bianca: la riapertura dei ristoranti a cena
Che significato ha riaprire la sera per un ristoratore? “Dopo un anno di pandemia, vuol dire tanto, è un'emozione: accogliere la gente nel proprio locale è una sensazione speciale, noi vendiamo cultura, e ai clienti fa piacere venire non solo a mangiare, ma anche a fare due chiacchiere. C’è tanta voglia di uscire, di stare fuori: a mezzogiorno tendenzialmente si mangia in velocità perché molti devono rientrare in ufficio, quindi l’apertura serale diventa fondamentale per chi fa il nostro lavoro”, risponde chef Pomata.
“Le persone hanno reagito bene alla riapertura, qualche trasfertista che viene a Cagliari per lavoro mi ha detto ‘finalmente posso bere una bottiglia in santa pace la sera’: a pranzo, infatti, chi lavora ha poco tempo e difficilmente può concedersi la calma di una degustazione accompagnata da un buon vino in abbinamento. A mezzogiorno, mediamente, il 70% dei pranzi è veloce, solo il 30% degli ospiti se la prende con calma, e magari ordina un menu degustazione. A cena, invece, le persone possono godersi il momento in tutta tranquillità. Certo, i cagliaritani si devono abituare a venire a mangiare prima, perché normalmente qui si tende a cenare verso le 21.00- 21.30”, precisa lo chef.
Gli ospiti si sono adeguati molto bene ai nuovi orari, e questo significa che la gente cambia abitudini, ma non rinuncia ad andare al ristorante. “Hanno prenotato tutti per le 20.00- 20.30, l'ultimo tavolo è arrivato alle 21.15. È stato un anno di cambiamenti e sono cambiate anche le abitudini: è un dato importante”, sottolinea Pomata.
Ma come si sono comportati i primi clienti serali al ristorante in zona bianca? “Hanno bevuto bene, con tante bollicine per festeggiare, e ordinato per lo più il menu degustazione”, risponde Pomata. “C’è ancora molta gente in smart working, italiana e straniera, che si è trasferita in Sardegna già dopo la prima ondata, e a Cagliari non manca la clientela business, che viaggia per lavoro”, aggiunge lo chef. Non solo clienti locali affezionati, dunque, ma anche persone in città di passaggio hanno presenziato la prima sera di riapertura in zona bianca.
Le misure di prevenzione del contagio? “Noi cerchiamo di farle rispettare sempre, e devo dire che nel mio locale si sono comportati bene i clienti: mascherina indossata ogni volta che ci si alza, massimo quattro persone per tavolo, un metro di spazio tra un tavolo e l’altro, oltre a un metro di distanza tra commensali. E continuiamo a rilevare la temperatura all’ingresso”, spiega Pomata.
La ristorazione in Sardegna, prima zona bianca d’Italia: uno sguardo al futuro
“Mi aspettavo una certa affluenza - spiega Pomata - perché quando abbiamo riaperto dopo il primo lockdown siamo stati letteralmente invasi, adesso dobbiamo solo vedere come va". Certo, in una regione come la Sardegna, che da ieri si è svegliata in zona bianca, il turismo è davvero fondamentale. “Cagliari è una città di business, molti vengono qui per affari, e per questo credo sia davvero importante tornare a viaggiare, ma in sicurezza. Tuttavia, se non volano gli aerei e non arrivano i dirigenti, o chi vuole trascorrere i weekend in Sardegna, con chi lavoriamo? La clientela locale non va sempre al ristorante”.
Non tutti i ristoranti, infatti, hanno riaperto in Sardegna. “Alcuni colleghi vogliono osservare prima la situazione come evolve”, commenta lo chef.
Lo stesso Pomata non ha riaperto tutte le sue attività. Oltre agli storici spazi di famiglia sull’isola di Carloforte (dove l’apertura è stagionale), lo chef gestisce tre spazi nel capoluogo sardo. “Per ora ho deciso di riaprire solo il Ristorante, mentre il Bistrot e la pizzeria con cucina Next sono ancora chiusi: voglio prima vedere come va con la zona bianca, che si rinnova settimanalmente. In realtà, temo che per Pasqua ci potrebbe essere qualche altra chiusura. Prima della pandemia avevo 34 dipendenti, ma li ho dovuti ridurre a 16, ho tenuto i miei dipendenti storici: a pranzo lavorava metà brigata a rotazione, adesso l’apertura serale del ristorante mi consente di richiamare tutti i dipendenti al lavoro”, commenta.
“Ho tenuto i miei dipendenti storici assunti, che sono 16 appunto, e che stanno lavorando con grande versatilità al Ristorante. Il pizzaiolo - per esempio - fa panificazioni e pasticceria: è necessaria la versatilità del dipendente in questo momento così particolare”, puntualizza.
Un augurio per il futuro? “Questa è una partita a scacchi tra il virus e la scienza, spero che si acceleri con le vaccinazioni e che la persone restino a casa, se contagiate. In futuro ci saranno momenti per fare le feste, ma ora dobbiamo concentrarci sulla gestione della situazione difficile. Questo virus ha lasciato molte vittime, anche nella ristorazione. Ora, speriamo bene”.