Dopo aver lavorato in altri settori, Stefano Callegari apre a Roma la pizzeria Sforno del 2005. Il successo è immediato e seguono diverse altre insegne, tra cui quella ormai celeberrima di Trapizzino, che è arrivata anche negli USA.
Tra creatività e spiccato senso imprenditoriale (ma anche per il gusto), abbiamo intervistato il pizzaiolo per chiedergli come nascono i suoi progetti.
Come ha iniziato la sua carriera nel mondo dell'arte bianca?
Ho cominciato da appassionato, cliente, curioso. Ho fatto il pizzaiolo da ragazzo, poi ho fatto altro nella vita. Alla fine sono tornato a quella che era la mia prima passione: il mondo della pizza.
Un settore che le ha dato grandi soddisfazioni. Quando è avvenuto il vero "salto"?
Quando ho aperto il primo locale. Da quel momento la mia pizza Cacio e pepe ha fatto parlare molto di sé, per via della cottura... con il ghiaccio. La prima insegna è stata Sforno, che ho aperto nell'ottobre 2005 a Cinecittà. Essendo vicino alla Roma-Napoli, mi piace pensare che lì arrivi un po' di "magma" direttamente del Vesuvio.
Da allora le insegne sono notevolmente cresciute.
Sì. Ho diversificato il prodotto con grandi risultati.Trapizzino, per esempio, nasce semplicemente dalla mia golosità, dalla voglia di mettere la cucina romana dentro la pizza bianca. Non sopra, perché si asciuga, e non dentro, perché ci sarebbe stato il problema della fuoriuscita dei vari sughetti. Alla fine ho pensato all'angolo. Così è nato il primo locale. In breve tempo capii tutte le potenzialità di crescita.
Quanti Trapizzino ci sono attualmente?
Gli ultimi due locali li abbiamo aperti a Milano proprio quest'anno. Siamo arrivati a un totale di quindici, compreso quello di New York. L'offerta gastronomica è una costante: trapizzini, supplì e dolci. Ogni locale però riesce adattarsi bene al contesto: c'è quello piccolo in cui si entra, si ordina e si esce per consumarlo in versione street food, come a Ponte Milvio a Roma o sui Navigli a Milano; c'è quello ampio, con servizio al tavolo e vineria, come in piazza Carlina a Torino, in piazza Trilussa a Roma e in Porta Romana a Milano.
Ci sono poi le altre pizzerie.
Sì, io mi diverto a fare la pizza. Il locale di Sforno è stato rinnovato da poco, l'offerta è composta per lo più da fritti e pizza in forno a legna. Poi c'è Tonda, una pizzeria classica dove si trovano anche fritti e il trapizzino servito al tavolo. Segue Sbanco, più incentrato sulla birra artigianale: c'è un bancone di 12 metri con 15 quindici spine di birrifici indipendenti, forno a legna e una tendenza a friggere un po' tutto. In quel di Roma ho anche Maccaré. E poi c'è Lievito, con cui collaboro in qualità sia di consulente che di amico.
C'è qualche figura di riferimento del settore che più di altre ha influenzato il suo lavoro?
Potrei dire il fornaio dove lavoravo da ragazzino, che mi ha fatto capire come anche le piccole cose siano fondamentali, a partire dal sale nell'impasto. E poi sicuramente Ciro Salvo, con i suoi racconti puntuali sul mondo della pizza a Napoli. Non faccio pizza napoletana ma alcune nostre conversazioni si sono rivelate per me fondamentali.