C’è chi, come Marco Bolasco, ha commentato lo "scarso coraggio" di questa edizione 2023 della Guida Michelin. Che si sia d’accordo o meno con il giornalista enogastronomico che oggi cura la guida delle Osterie d’Italia, un’eccezione che smentisce felicemente questa affermazione è rappresentata certamente dalla città di Roma.
La capitale è stata per anni condannata a un solo tre stelle (La Pergola di Heinz Beck) e un solo due stelle (Il Pagliaccio di Anthony Genovese), sullo sfondo di una quindicina di monostellati, numero variabile in base ad aperture/chiusure. Con la presentazione della guida 2023, la Michelin ha finalmente accontentato chi diceva che non fosse possibile che fra questi quindici non ce ne fosse neanche uno capace di emergere.

Daniele Lippi
Ed eccone ben due, serviti sul piatto della Rossa, che conseguono la doppia stella: Acquolina con lo chef Daniele Lippi alla guida delle cucine del ristorante dell’hotel The First Arte Hotel ed Enoteca La Torre a Villa Laetitia, un altro luxury hotel, che ha visto appuntarsi il secondo macaron sulla giubba di Domenico Stile.

Domenico Stile
Il riconoscimento a due under 35
Un atto di coraggio, quindi, se si pensa anche che i premiati da questo raddoppio sono due under 35: Domenico Stile è del 1989, Daniele Lippi del 1990. Di entrambi si loda la creatività, l’innovazione in cucina, la tenacia e la grinta nel sostenere i loro ruoli, ma va detto che hanno un altro elemento in comune: una sala affidata a due nomi di peso, con qualche anno in più e molta esperienza sulle spalle. Perché anche se la Michelin non si stanca mai di ricordare che la stella va allo chef, si può dire senza tema di smentita che Rudy Travagli per Enoteca La Torre e Benito Cascone per Acquolina facciano la differenza, facendo brillare ancora di più i piatti dei due giovani chef.
Grandi gruppi alberghieri e investimenti
L’elemento hotel è un altro dato su cui riflettere. Per prima cosa perché si fa molto parlare dell’insostenibilità economica delle stelle Michelin (e ancor di più della conseguente ansia da raddoppio) e probabilmente non è sbagliato pensare che dei generosi patron possano fare la differenza. Si pensi a Enoteca La Torre: i tavoli sono solo sette e altrettanti gli operatori solo in sala, una media di uno per tavolo.
In entrambi i casi va detto che l’insegna stellata è solo la punta di diamante di un brand che conta diversi indirizzi. Il gruppo Enoteca La Torre guidato da Silvia Sperduti e Michele Pepponi ha sette ristoranti, mentre Acquolina fa parte del gruppo Pavilions, guidato da Andrea La Caita, con due ristoranti solo nel The First Arte, a cui si aggiungono gli altri due hotel del gruppo, sempre in centro a Roma, con la pasticceria Velo e il ristorante-bar Alto. È la dimostrazione che la sostenibilità di un progetto fine dining orientato alle stelle Michelin passa anche per la diversificazione dell’offerta.
Da non trascurare lo scenario in cui si sta muovendo Roma in questi mesi, che certamente non sarà sfuggito agli ispettori Michelin. Gli enormi progetti in cantiere per la città (Bulgari, Mandarin, Six Senses, Nobu) sono destinati a ridefinire il concetto di lusso, di esperienza e di fine dining. Dare il messaggio che i riflettori della rossa sulla capitale siano già accesi potrebbe essere stata anche una scelta opportunistica. Ma ben venga se il risultato è dare un così bel riconoscimento a due giovani talenti.
Nuovi indirizzi stellati
Se nel caso dei due raddoppi di cui sopra perfino i meglio informati sono stati spiazzati dalla Michelin, i due nuovi stellati Davide Puleio e la coppia Sara Scarsella/Matteo Compagnucci erano da tempo annunciati. Il primo è una vecchia conoscenza della Rossa, perché aveva già vestito la giubba con il macaron a Milano, alla guida del ristorante Alchimia. Poi la voglia di tornare a Roma è stata più forte e, dopo qualche intoppo causa covid, alla fine si è lanciato nel progetto da chef-patron che porta il suo nome (con la j), Pulejo, aprendo in zona Prati.

Davide Puleio
Sara Scarsella e Matteo Compagnucci sono due giovani globetrotter della cucina, che tanto ha viaggiato e si è formata all’estero (Danimarca, Australia…), salvo scegliere di tornare a casa, destinazione Ariccia, per aprire il ristorante Sintesi, con la sorella di Sara, Carla Scarsella, in sala. Sara, poi, si era già fatta notare di recente vincendo il concorso Emergente Chef, ma in generale la coppia era già acclamata a furor di popolo: se Sintesi non avesse preso la stella Michelin quest’anno probabilmente sarebbero volate le guide.

Sara Scarsella e Matteo Comapgnucci
In entrambi i casi doppia pacca sulla spalla, perché sono due progetti in cui lo chef è anche patron, e perché hanno aperto in un momento storicamente ed economicamente difficile, scegliendo di tornare a casa ed assumendosi dei rischi enormi puntando all’obiettivo stellato, forti quasi solo della loro professionalità.
Donne e stelle: un difficile incontro
Menzione d’onore a Sara Scarsella: unica donna a salire su quel palco con la giubba appena cucita. È il secondo anno che accade, le quote rosa non sono evidentemente un tema per la Michelin, che pure con le stelle verdi ha dimostrato di essere attenta alle questioni sociali di stretta attualità. A discolpa della Rossa va detto che la statistica rema contro le donne: se il dato Alma è che gli iscritti al corso cucina sono 80% uomini e 20% donne e comunque uno su mille ce la fa, quante mai potranno essere le donne chef ad arrivare alla stella? Un tema sul quale è doveroso non smettere di riflettere.