Il legame fra la Lombardia e lo zafferano è saldo e antico - il famoso risotto alla milanese pare sia stato inventato nel 1500 - ma incredibilmente questa spezia non era stato mai coltivata in queste zone.
A iniziare quella che si spera diventare una bellissima tradizione agricola tutta lombarda, dei ragazzi, tutti giovanissimi: Marco, Fabio e Alessandra, - cugini e fratelli, 30 anni di media - sono la prima generazione della loro famiglia a ritornare a coltivare la terra.
A Ronco Briantino (MB) i due cugini Marco e Fabio decidono nel 2010 di fondare Voglia di Verde, azienda agricola che sorge sui terreni incolti tramandati dai parenti e che darà i natali allo Zafferano Padano.
Giovani, ma per nulla naif, i due capiscono che in un campo così competitivo era necessario specializzarsi, portando un prodotto diverso dagli altri, e soprattutto poco coltivato in Lombardia. Dopo poco si aggiunge anche Alessandra, sorella di Marco, e insieme iniziano l’avventura: conoscere lo zafferano, il reperimento delle attrezzature e delle materie prime fino all’Abruzzo, dove i ragazzi hanno scoperto tutti i trucchi del mestiere, o quasi.
Abbiamo parlato con Marco Cogliati per scoprire qualcosa in più su questa rivoluzione padana dello zafferano.
Come e perché è iniziata l’avventura dello Zafferano Padano?
L’azienda nasce nel 2010; la nostra famiglia aveva una terra e ne volevamo fare qualcosa. Siamo la prima generazione che torna alla terra; non avevamo molta superficie o molti mezzi, e per questo abbiamo iniziato cercando un settore di nicchia nel 2011. Abbiamo visto che la nostra zona non era particolarmente votata allo zafferano, sebbene il terreno fosse adatto alla coltivazione. Siamo dovuti andare fino in Abruzzo, a Navelli, per cercare qualche consiglio e abbiamo parlato con alcuni contadini per confrontarci. I nostri cormi vengono proprio da lì.

Come sta andando questa avventura?
Bene, cresciamo sempre di più. Nel 2012 abbiamo iniziato a lavorare con 5 quintali di cormi, non tantissimi, non pochi. Da quella prima esperienza abbiamo avuto 200 grammi di prodotto finito. La coltivazione di anno in anno è cresciuta. fino al 2014 quando abbiamo prodotto più di un 1 kg di zafferano. Per fare 1kg di zafferano abbiamo dovuto raccogliere 150.000 fiori. Siamo i primi al Nord ad aver fatto questo.
Cosa differenzia il vostro zafferano da quello industriale?
Innanzitutto la raccolta, tutta a mano. Noi nella fattispecie raccogliamo i fiori all’alba, quando sono ancora chiusi, in questo modo garantiamo la qualità. Durante la notte altri fiori ricrescono quindi la raccolta in genere dura 1 mese, verso ottobre. Poi è importante dire che lo zafferano coltivato in Italia, in generale, è di altissima qualità.
Vendiamo solo stigmi interi e non in polvere, perché nello zafferano in polvere ognuno può metterci quello che vuole. In più stiamo molto attenti ai processi manuali e non utilizziamo diserbanti. Una volta che abbiamo raccolto i fiori, li portiamo in laboratorio dove uno a uno vengono aperti per estrarre la parte femminile che poi è la spezia vera e propria, e che viene essiccata. Durante tutto questo processo bisogna esere molto veloci e attenti all’essiccazione, che avviene a temperatura controllata - fra i 40 e i 45°C - e ventilata. Sopra i 60/70°C si rovinano le vitamine all’interno. In alcune aziende italiane l’essiccazione veniva fata con la brace, ma in questo modo la temperatura non era controllata, anche se a seconda del legno utilizzato si rilasciava sulla spezia un retrogusto molto particolare.

Le difficoltà di chi inizia un’attività di questo tipo?
Innanzitutto non c’era informazione sull’argomento: anche sul web ci sono davvero pochi materiali e la letteratura è ancora scarsa. Ci siamo dovuti recare fisicamente a 800 km di distanza per capire bene tutti i processi e la lavorazione. Poi ovviamente la difficoltà a livello burocratico: non abbiamo giovato di nessun aiuto statale, e abbiamo dovuto contare sulle nostre forze e quelle della nostra famiglia. Per la raccolta ad esempio ci aiutano i parenti e i genitori.

Quali sono gli sbagli più comuni che si fanno con lo zafferano, soprattutto se così pregiato?
Sicuramente uno sbaglio molto comune è quello di metterlo a metà cottura: ad esempio nel risotto. Metterlo a metà cottura significa rovinare le vitamine della spezia; il sapore e il colore restano, ma i nutrienti no.
Si rischia poi di buttare all’aria il prodotto se si mettono interi i pistilli: bisogna sminuzzarli finemente, e lasciare lo zafferano in infusione per 2-3 minuti in mezza tazzina da caffè, riempita d’acqua o brodo. Poi l’infuso va versato nella pietanza possibilmente a fine cottura. Se volete usare i gli stigmi per decorazione lasciatene un paio intatti e metteterli a piatto ultimato.
Foto nel testo: ©Next Comunicazione
Si ringrazia per la collaborazione Consorzio Brianza Che Nutre.
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