Tradizione e avanguardia: il ristorante Al Ferarût guidato dallo chef Alberto Tonizzo è un vero e proprio trionfo di contrasti. L'estetica del locale di Rivignano (Udine) è classica mentre la sua cucina è sperimentale, contemporanea anche se ben radicata nel suo territorio, il Friuli. Anzi, lui dei prodotti spontanei della sua regione è un conoscitore e amante ante-litteram.
Alberto Tonizzo, Stella Michelin 2012 e Jeunes Restaurateur d'Europe nel 2009, rappresenta la quarta generazione di ristoratori della sua famiglia. 25 anni di ristorazione alle spalle, sommelier Ais, Alberto ha scritto anche un libro La cucina friulana dalle risorgive al mare nel 2009 ed è un conoscitore del gusto curioso e competente. In questa intervista, racconta di sè e dei suoi prossimi progetti.
Si descriva in tre parole.
Rispettoso, serio e lavoratore.
Al Ferarût è il ristorante di famiglia. Ha apportato dei cambiamenti una volta che è passato alla guida del locale?
Parecchi. Non tanto in sala quanto in cucina: ho un eredità storica molto forte alle spalle e piano piano sono voluto intervenire senza snaturarlo, modificando e aggiungendo qualcosa via via. Ho fatto delle iniezioni di novità nel tempo.
Che tipo di cucina si trova nel suo ristorante?
Una cucina legata ai prodotti ittici della Costa Adriatica, che ogni volta riesce - nella semplicità - a regalare agli ospiti gusti e sensazione nuove. Quello su cui punto è un gioco di gusti.
Da dove nasce l'ispirazione per le sue ricette?
Innanzi tutto dall'istinto, che si traduce poi in manualità, eredità storica e tecnica. Un fattore importante è il rispetto per la stagionalità e per la clientela. C'è sicuramente anche qualche innesto proveniente da altre culture gastronomiche interessanti, ma di base rimango molto fedele al mio territorio.
Lei è anche un sommelier. Qual è il miglior abbinamento che ha mai sperimentato?
Non è una domanda facile. Proporre un abbinamento perfetto sotto tutti i punti di vista è sempre un terno a lotto. Direi Anguilla alla brace con mele cotte e un Montsclapede Girolamo d'Origo: appaga tutti quanti i sensi.
Perché un libro sulla cucina del suo territorio e sulle specialità ittiche del Friuli?
Nel panorama internazionale il Friuli è conosciuto per le sue specialità montane. Fra Trieste e Venezia, invece, abbiamo tante altre materie prime. Mi sono voluto dedicare proprio a questa fascia di terra, fra Grado e il basso Friuli. Grazie all'aiuto di una biologa ho anche approfondito la natura e i possibili usi delle erbe spontanee. Mentre, insieme ad alcuni sociologi, ne ho studiato anche l'uso che ne facevano le popolazioni locali. Quando ho iniziato questo percorso alla ricerca prodotti selvatici ero in assoluta controtendenza all'interno del mondo gastronomico. Con il mio libro si è chiusa questa prima importante parte della mia esperienza in cucina di questa codificazione.
Cosa ha imparato affiancando una biologa?
Ho appreso, ad esempio, gli aspetti fondamentali dell'utilizzo e delle tecniche di raccolta delle erbe. Ho inoltre approfondito la conoscenza di molti prodotti del mare della zona come le Moeche, i Garusoli, i Molluschi fasolari, le Ombrine selvatiche, la Leccia a Stella (la Ferrari della Ricciola), e molte altre.
Nel 2012 riceve la sua prima Stella Michelin. Cos'ha pensato quando l'ha saputo?
Ho subito provato una grande soddisfazione personale, ma ho continuato a lavorare per i clienti e continuo il mio percorso in cucina con la passione che avevo prima. Questi riconoscimenti sono sicuramente importanti, ma bisogna sempre prestare attenzione all'economia del locale, e pensare che si era qui anche prima delle guide e delle stelle.
Il suo prossimo obiettivo?
Ho tanti progetti: da una parte stiamo migliorando la struttura, dall'altra vogliamo portare avanti un nuovo tipo di ristorazione, che dia la sensazione di essere a casa. Oggi i clienti sono più esigenti e allo stesso tempo non hanno più la necessità di dimostrare uno "status": badano molto di più alla qualità e all'esperienza, rispetto al passato. Parlavo l'altro giorno proprio di questo con Andrea Berton, che mi è venuto a trovare. "Sono venuto a mangiare da te in jeans e maglietta", mi ha detto. "Era impensabile solo qualche anno fa". Voglio offrire il lusso della semplicità.
Bisogna poi ricordare che il ristorante ha sempre avuto una grande funzione socializzante che oggi, a causa della crisi, sta venendo meno: noi ristoratori dovremmo cercare di mantenerla in vita e io è quello che sto cercando di fare.
Lo chef che più rappresenta la cucina italiana nel mondo, oggi, secondo lei?
Massimiliano Alajmo de Le Calandre, ma anche Alfonso Iaccarino del Don Alfonso, un maestro che a livello umano ha tanto da dare, importante anche all'estero. Poi Enrico Crippa e Gennaro Esposito, Moreno Cedroni e Massimo Bottura, da cui c'è molto da imparare.