Originaria di Nizza, Annie Féolde ha iniziato la sua carriera in cucina a 25 anni, quando è giunta in Italia per imparare la lingua. Dopo aver lavorato in alcuni ristoranti di Firenze, incontrò Giorgio Pinchiorri, che sarebbe diventato suo marito.
Nel 1979 rilevarono l’allora Enoteca Nazionale, sempre in cuore del capoluogo toscano. Iniziò così la storia del celebre ristorante Enoteca Pinchiorri. Dopo una menzione sulla Guida Michelin nel 1981, l’anno successivo ricevette la prima stella e, subito nel 1983, la seconda.
La svolta definitiva fu il 1992, anno in cui, oltre all’apertura di Enoteca Pinchiorri a Tokyo, a Firenze arrivò la terza stella Michelin, facendo di Annie Féolde la prima donna al mondo, al di fuori della Francia, a ricevere questo riconoscimento.
Nella storia più recente della chef e del marito Giorgio troviamo nuove aperture: nel 2008 viene inaugurata l’Enoteca Pinchiorri di Nagoya, al 42° piano di un grattacielo della città giapponese; mentre nel 2016 ha aperto The Artisan by Enoteca Pinchiorri a Dubai.
Abbiamo fatto alcune domande alla chef in vista del Grand Finale di S.Pellegrino Young Chef 2018, che si terrà a Milano il 12 e 13 maggio 2018. Annie Féolde sarà infatti uno dei Seven Sage, la prestigiosa giuria di chef che sceglierà il prossimo Young Chef S.Pellegrino tra i 21 finalisti provenienti da tutto il mondo.
Lei è stata la prima donna italiana a raggiungere le tre stelle Michelin. Come si mantiene per tanti anni un livello di cucina tanto elevato?
La ricetta è semplice e richiede al contempo la massima attenzione: molta ricerca, i migliori ingredienti e tecniche. Lavoriamo duramente per mantenere questo standard ma sappiamo che questo modus è l'unica garanzia di successo.
Ci sono degli aspetti a cui una chef donna deve prestare particolarmente attenzione per affermarsi in questo lavoro?
Le chef devono essere senza dubbio motivate dalla passione, acquisire quante più conoscenze possibili a scuola ed essere consapevoli che il lavoro che hanno scelto richiede molto tempo e dedizione. Devono inoltre affrontare un fatto oggettivo: la loro vita familiare sarà in diverse occasioni pesantemente condizionata dal lavoro.
L’Enoteca Pinchiorri di Firenze è un’istituzione conosciuta a livello internazionale, tappa fissa di ogni viaggiatore gourmet in città. Nota delle differenze di approccio tra la clientela italiana e quella straniera?
Penso che i clienti italiani siano più esigenti; forse perché tendono ad essere ipercritici nei confronti di ciò che viene definito "un'istituzione". La maggior parte dei nostri clienti internazionali vengono in Enoteca durante le vacanze, sono quindi più rilassati e vivono l'esperienza con l'approccio "una volta nella vita".
Oltre a quella di Firenze, altre due realtà consolidate portano il nome dell’Enoteca Pinchiorri: quella di Tokyo, inaugurata nel 1992, e quella di Nagoya, aperta nel 2008. Come affronta un nuovo progetto all'estero? Ci sono in programma novità?
Nel corso degli anni, ci sono stati più di due ristoranti con il nome di Enoteca Pinchiorri in Giappone. Aprire un ristorante all'estero richiede una profonda conoscenza del paese straniero e presenta molte sorprese; ancora di più negli anni '90, essendo uno dei primi ristoranti italiani ad aprire a Tokyo. L'ultimo progetto a portare il nome dell'Enoteca è del 2016, a Dubai. Abbiamo iniziato un concept più casual, The Artisan di Enoteca Pinchiorri, sempre con l'obiettivo di soddisfare le aspettative locali.
Ai suoi esordi ha partecipato ad una trasmissione televisiva italiana assieme ad un noto critico gastronomico; oggi in tv l’abbiamo vista nei panni di giudice delle prime due edizioni di Top Chef Italia. Che opinione ha di questa diffusione dell’enogastronomia, attraverso la televisione, ad un pubblico sempre più ampio?
La TV ha un enorme potenziale; potrebbe aiutare a promuovere le buone maniere e educare le persone. A volte non viene usata propriamente in questo modo e, al contrario, può esaltare cattivi esempi. Ho sempre rifiutato di far parte degli spettacoli televisivi in cui i personaggi si comportano in modo rude e aggressivo per l'audience. Il lavoro degli chef è quello di creare piatti gustosi e belli, così da poter entusiasmare le persone con il cibo, senza bisogno di essere sgradevoli.
Quale consiglio si sente di dare ai giovani chef che partecipano alla competizione?
Siate essenziali e precisi.
Qual è stato il suo maggior successo e quale il suo più grande errore all’inizio della sua carriera da chef?
La prima cena che ho dovuto preparare per un nutrito gruppo di grandi chef - Paul Bocuse, Roger Verger, Jacques Maximin e altri - assieme ad autorevoli giornalisti italiani come Luigi Veronelli: ho dovuto mostrare le mie conoscenze e la mia interpretazione di alcuni piatti toscani. Ero molto nervosa ma alla fine ho ricevuto generosi complimenti da ognuno dei presenti. Ricorderò sempre quel giorno! L'errore più grande si è verificato invece durante una cena molto importante che abbiamo dovuto preparare in una cantina molto conosciuta: quando, verso la fine della preparazione dei piatti di pasta, ci siamo resi conto che non avevamo abbastanza sugo per tutti, ho dovuto aggiungerne un po' di brodo nella pentola per ottenere di più. Stavo letteralmente tremando! In seguito ho scoperto che, per errore, erano stati aggiunti dei piatti in più... il mio lavoro non era stato poi così sbagliato!
Quali sono le maggiori sfide che l’alta cucina dovrà affrontare nell’immediato futuro?
Penso che il nostro principale obiettivo debba essere quello di continuare a concentrarci sul cliente, porlo sempre al centro del lavoro; non dobbiamo mai smettere di cercare gli ingredienti migliori, creando piatti che siano allo stesso tempo sani e gustosi, piatti che possano sorprendere e soddisfare il palato di chi li prova. Un cliente felice è un cliente la cui curiosità è stata adeguatamente stimolata e soddisfatta.