Non lo troverete in qualche programma o reality dedicato alla cucina: ad Anthony Genovese, infatti, basterebbe solo stare in cucina ai fornelli de Il Pagliaccio, un lavoro che gli è valso 2 Stelle Michelin, riconoscimenti dal mondo gastronomico internazionale e la stima dei colleghi.
Per conoscere meglio lo chef bisogna iniziare dalle sue origini italiane (calabresi per la precisione, della provincia di Reggio Calabria) e della sua giovinezza passata nel Sud della Francia. Poi tante tappe in giro per il mondo e poi di nuovo l'Italia, e la sua avventura romana con Il Pagliaccio che quest'anno ha festeggiato i suoi 10 anni con un libro: Ten.
Come influiscono le origini calabresi nella sua cucina?
Non molto, in realtà: nei piatti de Il Pagliaccio le mie origini sono appena accennate. Cerco di inserire qualche elemento come lo stoccafisso, i maccheroni e il ragù, ma sono solo sfumature. In quel che mangio, invece, le mie origini influiscono davvero tanto, anche nei dolci per esempio sono molto legato al Sud: mio nonno era capo pasticcere a Messina, quindi impazzisco per gli struffoli, la pignolata o i cannoli.
Perché la decisione di lavorare in Italia e creare qui il suo ristorante?
Sono stato cresciuto dai miei nonni e la mia prima lingua è il calabrese. Non mi sono mai sentito francese: e fin da giovane ho detto che sarei tornato in Italia per fare una sorta di percorso al contrario e sono davvero felice di averlo completato. Mi piace la Francia, ma non rispetta appieno la mia mentalità.
Come nasce una sua ricetta?
È difficile spiegarlo; ovviamente si parte dalla padronanza dell'ingrediente e da un grande ascolto, soprattutto per le nuove tendenze: sono sempre molto curioso riguardo i movimenti culianari. All'inizio quindi c'è uno studio attento, mentre il finale è più spontaneo.
Ha viaggiato molto in tutto il mondo: c'è traccia di queste sue esperienze nei suoi piatti?
Non posso negare che ci sia una tendenza asiatica nei miei piatti, sempre con parsimonia e con un certo distacco. Non faccio assolutamente cucina fusion, ma il mio background è importante. In questi ultimi 2 anni uso con parsimonia le spezie, e alcuni prodotti asiatici, la soia e il sake, tutto sempre con una certa delicatezza.
C'è un piatto che secondo lei la rappresenta meglio di altri o che racchiude la sua cucina?
L'Ostrica, burrata e lychees rappresenta benissimo la mia filosofia in cucina. Ci sono i tre pilastri della cucina la Francia, l'Italia e i lychees si abbinano perfettamente a entrambi gli elementi. È un piatto che rappresenta bene il mio lavoro, ma non lo definisce davvero, anche perchè non mi va di definire la mia cucina, mettere aggettivi è inutile. Il mio stile è in continua evoluzione e deriva da lunghe esperienza e da un grande ascolto. La mia cucina è aperta al mondo, senza paura.
Cosa pensa della tendenza degli ultimi anni alla spettacolarizzazione della cucina?
Apprezzo le interviste, ma difficilmente il mio carattere mi porterebbe a farle in modo spontaneo. Io starei in cucina e basta, ma comprendo e apprezzo la buona pubblicità. Alcuni chef sono bravi sia in cucina che in televisione, ma è un lato che non mi intessa. Sicuramente in questi ultimi anni si parla esageratamente di cucina e a volte in modo sbagliato. Molti giornali sono a caccia di scoop, ma questo non aiuta davvero la cucina.
Un libro per coronare dieci anni de Il Pagliaccio: ci parli di 'Ten'.
Il libro è nato per dare spazio alla mia storia e a quella del ristorante. Tante persone hanno lavorato a questo libro, mettendo del proprio e lavorando in una direzione ben precisa. Non ho voluto fare un libro di ricette, ma un libro che mettesse nella giusta prospettiva la mia carriera in modo discreto e senza ricorrere ad altri media. Non avrei potuto farcela ovviamente senza Annie Fèolde dell'Enoteca Pinchiorri, Luigi Cremona, il fotografo Mattia Cinacchi, Gianluca Biscalchin, Aromi Creativi e tutto lo staff dietro questo lavoro importante.
Cosa pensa del fermento della scena ristorativa romana?
Le aperture sono tante, forse troppe, ma credo che dietro a molte di queste non ci sia un progetto ben definito. Roma sta comunque crescendo tantissimo: siamo a quota 18 stelle Michelin, mentre dieci anni fa erano solo due. Manca un po' di audacia, però: si rincorrono sempre gli stessi locali e concept. Spesso non vedo voglia di costruire ma voglia di guadagnare subito.
Una meta gastronomica che consiglia?
Barcellona, una città con con una creatività fuorimisura.
Tutte le foto: ©Aromi Creativi