Si è aperto il 17 maggio, Food Talks | Ristorazione e ospitalità: ingredienti per la rinascita, la settimana di conversazioni e approfondimenti live ideata dall'imprenditore digitale Marco Montemagno in collaborazione con S.Pellegrino.
Obiettivo del format è analizzare il cambiamento in atto nel mondo della ristorazione e della gastronomia in generale a un anno dalla fine del primo lockdown, attraverso gli interventi di ospiti influenti e l'analisi di esperienze innovative che S.Pellegrino porterà al centro della discussione.
I talk proseguiranno tutti i giorni fino a venerdì 21 maggio live sui canali e profili social di Marco Montemagno (LinkedIn, Facebook e YouTube) mentre qui su Fine Dining Lovers troverete highlights e approfondimenti quotidiani.
Food Talks | Day 4
Carlo Cracco, Chef Patron di Cracco in Galleria a Milano
Alessandro Bergamo, Sous Chef di Cracco in Galleria e finalista di S.Pellegrino Young Chef
Le interviste di Food Talks della giornata di oggi si concludono con la chiacchierata tra Marco Montemagno, Carlo Cracco (Chef Patron di Cracco in Galleria a Milano) e Alessandro Bergamo (Sous Chef di Cracco in Galleria e finalista di S.Pellegrino Young Chef).
Carlo Cracco apre l’intervista con un pensiero legato alla riapertura di queste settimane: “C’è bisogno di ritrovare un po’ di quella sana socialità a tavola e non solo, di stare insieme. Siamo stati costretti in isolamento per tanto tempo e spero che ogni settore, non solo quello della ristorazione, possa avere la sua parte”.
Alessandro Bergamo, per uno chef emergente la cucina quanto viene influenzata nell’ottica dell’obiettivo di prendere una Stella Michelin? “Sicuramente il percorso stellato mette le basi per raggiungerne una propria stella in futuro. Bisogna avere le idee ben chiare e la Stella Michelin se deve arrivare arriva”.
Chef Cracco, qual è il rapporto tra chef affermati e chef emergenti? “È un rapporto di condivisione. Attraverso i ragazzi vedo un fuoco vivo, il mio è un fuoco più maturo, più morbido. Loro sono in una fase in cui devono assorbire, assaggiare e rilasciare nel tempo quello che hanno imparato affinando modi e comportamenti”.
Come si allena un palato, Alessandro? Assaggiando, degustando e provando, cercando di capire sempre di più degli ingredienti. Conoscere il prodotto è fondamentale per capire le sue trasformazioni in base al trattamento o alla cottura. Con l’esperienza molti gusti si conoscono anche senza assaggiare”.
Chef Cracco, come evolverà tecnicamente la cucina nel prossimo decennio? Sicuramente ci sarà una maggiore consapevolezza dell’importanza della cucina. Noi siamo l’ultimo anello di una catena molto lunga che parte dalla terra e arriva nel piatto. La cucina come la conosciamo oggi avrà per forza un’evoluzione proprio grazie alla tecnologia, ma soprattutto grazie alle scelte che dovremo necessariamente fare. Dobbiamo cambiare o addirittura eliminare alcune abitudini. Dobbiamo preservare l’ambiente, essere ancora più sostenibili, eliminare gli sprechi senza sfruttare troppo l’ambiente. Il futuro della cucina è sulla parte etica e meno tecnologica. L’importante è cercare di fare delle scelte corrette e consapevoli nel rispetto di tutto.
Alessandro Bergamo, come va la preparazione per la finale Bocuse d’Or? “Bene, si tratta delle olimpiadi della cucina in cui si incontrano chef di tutto il mondo. Uno dei temi di quest’anno è il delivery. In finale porterò il pomodoro in forma di delivery, Mi sto allenando molto per rappresentare questo prodotto e la tradizione italiana”.
Ci sono progetti per un ristorante all’estero firmato Cracco? Non ho al momento programmi di aperture all’estero. Ne avevamo uno a Mosca prima della pandemia, con il Covid abbiamo bloccato tutto, ma speriamo di ripartire quando ci saranno le giuste condizioni”.
Almir Ambeskovic, CEO di The Fork
La quarta giornata di talk è iniziata con l’intervista di Marco Montemagno ad Almir Ambeskovic, Ceo di The ForK, la piattaforma per le prenotazioni online di ristoranti, con un network globale. “Da country manager Italia sono diventato Ceo a marzo 2021: un momento non felice, è vero, ma si tratta di una sfida. La nostra attività può andare a impattare sulla vita di un ristorante, è importante prenderci un po’ di responsabilità per far tornare a funzionare le cose”, ha spiegato. Interessante il suo punto di vista internazionale, visto che The Fork è presente in 22 aree geografiche diverse.
Com’è la situazione della ristorazione all’estero? “In tutte le geografie dove siamo presenti, hanno riaperto i ristoranti: in Australia da mesi è tutto regolare, a Madrid non hanno mai chiuso, ma hanno anticipato l’orario di chiusura la sera… Adesso tutti sono aperti, la ripresa è direttamente proporzionale al rallentamento delle restrizioni: appena aprono i ristoranti, vedi le persone fuori che pranzano; ora il pranzo sta facendo il 50% in più rispetto all’anno scorso: la gente si adegua alle restrizioni. Noi abbiamo meno della metà di ristoranti con spazi all’aperto in Italia, ma la gente appena può vuole andare fuori a cena. E ora finalmente si può fare”, ha commentato.
Qual è il trend? “Il trend è in crescita, anche solo con gli spazi all’aperto le prenotazioni sono cresciute: c’è più gente che vuole cenare fuori. Quello che a me piacerebbe è che questi spazi all’aperto non restassero solo una piccola parentesi momentanea, ma sarebbe bello prolungare l’esperienza. In Italia, quando il tempo è brutto, la gente sta a casa, mentre al Nord Europa, quando piove, le persone vanno al ristorante, e quando è bello vanno al parco. Adesso, invece, avendo il dehors come unica possibilità, la gente si sta adattando di più. E spero che dal Covid ci porteremo dietro questo atteggiamento positivo. I ristoranti sono messi male, il Rapporto 2020 della Fipe è disastroso. Far quadrare i conti di un ristorante non è facile”, ha risposto Ambeskovic.
Le differenze tra i diversi Paesi? “I ristoratori al Nord sono molto più tecnologici, a Stoccolma, Londra o Amsterdam vogliono subito vedere le funzionalità digitali, sono più organizzati come imprenditori. Mentre nel Sud Europa, e in particolare in Italia, il ristoratore è meno imprenditore, cerca solo di renderti felice e farti passare una bella esperienza, sono meno tecnologici”.
Quali le iniziative di The Fork per aiutare il settore? “Oltre agli aiuti economici, abbiamo offerto il nostro software ai ristoranti. Ora c’è una gift card da 50 euro, che puoi spendere andando a mangiare ai ristoranti di The Fok: i soldi vanno completamente al ristorante, senza commissione a noi. Si tratta di una gift card anche per le aziende, che possono regalare così un’esperienza ai dipendenti, ed è allo stesso tempo un modo per aiutare un settore che ha dovuto affrontare grandi difficoltà. Un aiuto per i ristoranti a ripartire”, ha risposto il Ceo di The Fork.
Quali sono le tipologie di ristoranti in crescita? “Parlare dei trend oggi è abbastanza difficile, perché molti ristoranti nell’ultimo periodo si sono dedicati al delivery, cercando di ridurre i costi al minimo. Le nuove aperture sono calate tantissimo nell’ultimo periodo ovviamente, ma c’è un po’ l’effetto globalizzazione: il sushi è diventato normale, mentre 10 anni fa non lo era, poi vedi il poke, e un mix di cultura molto alto, anche se l’Italia è l’unico Paese che riesce a conservare le proprie tradizioni, con le diverse declinazioni regionali. Negli altri Paesi invece c’è un gran mix di culture. Se dovessi pensare a una nuova startup della ristorazione, io lancerei una catena di ristoranti italiani in giro per il mondo: un ristorante gestito bene ha una buona marginalità e, all'estero, i ristoranti italiani sono più cercati, ma spesso non sono gestiti dagli italiani".
Cristina Bowerman e Paolo Marchi
Il pomeriggio si è aperto con l’intervista a Cristina Bowerman e Paolo Marchi, che hanno parlato di temi di attualità, delle criticità della ristorazione e delle iniziative di Ambasciatori del Gusto, associazione di cui la chef è presidente.
“Paolo Marchi è stato il primo giornalista a interessarsi alle donne in maniera equa. Tanto che quando mi ha chiesto di salire sul palco centrale al congresso di Identità Golose qualche anno fa, quasi svenivo, non ci credevo. Ha sempre guardato le donne in maniera meritocratica, per me è un punto di riferimento; ritengo che sia un giornalista che abbia un’ampia visione della gastronomia a livello globale…Cosa difficile da fare, senza muoversi: lui ha una visione concreta di ciò che accade a livello mondiale. Quello che manca alla ristorazione italiana per fare uno scatto è un supporto da parte dei giornalisti (perché molti si fermano a ciò che arriva, ma non si informano e non sperimentano), e poi una concezione di ristorazione a tutto tondo, perché c’è sia il ristorante sia la trattoria”, dice Bowerman.
“Il problema è che la ristorazione e il mondo del vino sono ancora visti come un nutrimento e basta, e questo limita tantissimo, perché se parli di un vino o di un ristorante fai pubblicità, ma se parli di Ferrari o di brand di moda parli di industria italiana ecc. Serve il supporto delle istituzioni: nel mondo abbiamo portato il caffè espresso, il tiramisù… che sono l’espressione del genio italiano. Noi diamo un valore di cuore, affettivo al piatto, e non sappiamo valutarlo per l’impatto economico, è un paradosso”, ha aggiunto Marchi.
Qual è la mission degli Ambasciatori del Gusto, come nasce? “L’idea nasce durante il periodo di Expo: ad agosto 2015 siamo andati in Danimarca io, Cristina Bowerman e Cesare Battisti. Siamo stati da René Redzepi al Noma, lo chef che è riuscito a far mangiare a tutti i licheni, ed è stato bravo a capovolgere il mondo: ha messo un punto di osservazione da Capo Nord in giù. Ci piacque molto questa lezione, sull’idea di cambiare il metodo di mangiare, quindi abbiamo pensato di creare un’associazione per portare la qualità italiana nel mondo e far capire alle autorità che la ristorazione italiana è fortissima. Se ci pensiamo, hanno fatto decaloghi sulle cucine di tanti Paesi, ma non di quella italiana”, spiega Marchi. “Purtroppo, nel mondo, la ristorazione italiana non è protetta e tutelata. Redzepi è riuscito in quello che ha fatto perché il governo danese lo ha aiutato e glielo ha permesso, e ha voluto che tutto il globo conoscesse i prodotti della Danimarca”, ha aggiunto Bowerman.
Quali sono i prossimi obiettivi cui sta lavorando l’associazione? “Gli Ambasciatori del Gusto sono impegnati su tutti i fronti, l’ultimo progetto ha avuto un successo incredibile: un webinar con più di 13 mila iscritti (oltre, naturalmente agli Ambasciatori e alla rete di istituti alberghieri che hanno supportato iniziativa). Sono state elargite lezioni gratuite a tutti gli iscritti al webinar: questo dimostra come l’italiano medio abbia sete di sapere, e dimostra che in questa maniera, con il digitale, si raggiunge una platea molto più ampia rispetto a quella che potrebbe essere una platea fisica. L’altro progetto di grande interesse cui stiamo lavorando è quello che ci ha permesso di essere tra le poche associazioni del mondo che i 50 Best hanno finanziato. Si tratta di uno studio scientifico fatto con l’ordine degli psicologi del Lazio sui fattori di stress nella ristorazione (il primo webinar si è già tenuto, mentre il 27 maggio ci saranno altri due speaker, che parleranno del tema del web), il tutto culminerà nella pubblicazione di un libretto sulle best practices per avere equilibrio mentale e non cadere in depressione ed essere sereni, che verrà distribuito a tutti e non solo agli Ambasciatori. L’altro progetto che ci ha fatto ottenere il finanziamento dei 50 Best è legato alla comunicazione, alla capacità e alla sensibilità di gestire tutto questo aspetto a 360 gradi, incluso il digitale, da parte dei ristoratori (e non molti hanno queste capacità). Ecco, noi abbiamo fornito un servizio gratuito di consulenza, specializzato in comunicazione per i nostri associati; coinvolgono anche quelli che sono molto lontani dall’universo della comunicazione”, ha raccontato Bowerman.
Interessante, poi, l’osservazione della chef su come (e perché) vengano storpiate le ricette italiane nel mondo. “Il problema è che è stato lasciato un campo neutro: stiamo pagando le conseguenze di quella mancata comunicazione, ora che è stato tutto conquistato da altri personaggi è difficile. Mentre prima autorità, autorevolezza e successo coincidevano con la stessa persona, oggi questi tre aspetti della personalità con i social non coincidono, si sono dissociati e, nel web, ognuno acquisisce autorevolezza e autorità, quando in realtà non dovrebbe averne”.
Anticipazioni sulla prossima edizione di Identità Golose? “Il tema sarà il lavoro, perché ci stiamo chiedendo tutti: torneranno i clienti al ristoranti, avranno voglia? La risposta è sì, perché vediamo che si siedono e sono contenti. Ma torneranno i presupposti economici per avere cuochi in cucina pagati e camerieri in sala? Nel nostro ristorante a Milano, per esempio, facciamo tanti coperti al giorno, ma siamo sotto organico, quindi non possiamo prendere più clienti se abbiamo poco personale che serve. Il tema dunque sarà come tornare a fare economia”, ha risposto Marchi, aprendo un tema molto caldo e interessante. “Prima della pandemia c’erano decine di cuochi che erano disposti ad andare a lavorare gratis nelle grandi cucine spagnole, scandinave, peruviane, perché lo potevano scrivere nel cv. Ma lo facevano perché sapevano che dopo 3-4 anni trovavano i soldi per aprire il proprio ristorante, grazie anche alle banche che elargivano prestiti o alla famiglia, ma adesso la catena si è rotta: la gente non soffre più per avere un futuro incerto”, ha aggiunto.
“Le statistiche fatte prima dell’apertura dicono che la gente voleva tornare al ristorante. Alcune persone dello staff le ho perse, molti hanno cambiato campo/lavoro, altri sono partiti per la stagione estiva, sapendo che dopo avranno diritto alla disoccupazione, è accaduto pure lo scorso anno; sono in cerca di personale, sto facendo fatica, e sono tanti i colleghi che fanno fatica; nel Regno Unito pure c’è carenza di personale specializzato, molti sono andati a Dubai, perché ci sono state occasioni molto appetitose e molti ragazzi sono andati lì. Molti si fanno i conti: prendo 100 euro in meno come se andassi a lavorare con il sussidio di disoccupazione: questo è un grande problema perché indica una demotivazione della classe che dovrebbe sostenere la ristorazione, che è un pilastro dell’economia”, ha concluso Bowerman.
Food Talks | Day 3
Martino De Rosa, founder e Ceo di atCarmen
La conversazione di Marco Montemagno con Martino De Rosa ha aperto una finestra sul mondo dell’ospitalità e sui suoi format. De Rosa è founder e Ceo di atCarmen, società che gestisce diverse realtà food & wine, ma anche resort quali l’Albereta in Franciacorta e L’Andana in Maremma.
L’Italia non è nella green list, cioè non è tra i Paesi consigliati per le vacanze: come la vedi? “Non vorrei che fosse un gioco politico, in questo momento il sentiment è positivo, le vaccinazioni stanno procedendo bene; c’è voglia di uscire, c’è voglia di vacanza, il coprifuoco è stato spostato alle 23. L'estate, poi, dovrebbe aiutare a debellare il virus”, ha risposto De Rosa.
Sulla riapertura degli alberghi, che linee guida ci sono, voi che parametri applicate per mantenere questa sensazione di tranquillità per gli ospiti? “Siamo aiutati dagli spazi ampissimi in campagna, in Franciacorta e in Toscana, per noi si parla di distanziamento naturale. All’Albereta abbiamo una struttura medica importante, tanto che al primo lockdown abbiamo chiuso, ma poi siamo rimasti sempre aperti; abbiamo personale che fa ogni tre giorni un tampone; abbiamo chiuso solo 15-20 giorni a gennaio; in Maremma è stagionale la struttura, quindi siamo riusciti a fare una buona stagione lo scorso anno, abbiamo riaperto il 6 maggio e abbiamo avuto un buon riscontro, c’è un sentiment positivo”.
Com’è la situazione del personale? “Non è facile, ma il Covid ha accelerato determinati processi: anche prima del virus avevamo un problema col personale, perché è un lavoro che ti porta a sacrificare molto della vita privata, lavorando di sera e nei giorni festivi: non è scontato diventare un grande chef o un imprenditore del settore, quindi la gente ci pensa bene. Poi si aggiungono altre tematiche come il reddito di cittadinanza… Insomma, è complessa la situazione”.
Com’è partita la collaborazione con Alain Ducasse? “La nostra famiglia ha aperto il primo resort con Marchesi. Poi abbiamo deciso di comprare una tenuta in Toscana che era la casa del Granduca di Toscana, con un genius loci molto forte. Io sono andato a parlare ad Alain che aveva sempre detto “jamais en Italie”, mai in Italia, “perché si mangia molto bene con poco”. Sono andato a parlargli e lui mi ha guardato come si guarda un pazzo. Io poi l’ho invitato a vedere il posto e si è innamorato. A lui devo tutto. Cosa ti ha cambiato nella visione? “Per me l’Italia è il buono e il bello, mentre la Francia è la gestione del lusso, loro hanno un approccio molto rigido e professionale. Ho iniziato a capire una declinazione del business più manageriale, un’attenzione a una serie di aspetti". Mio suocero, e poi noi, abbiamo creato situazioni importanti, ma sono nate in cucina. Da loro ho imparato a progettare prima: un grande nome non basta, serve una grande capacità gestionale. Abbiamo aperto le prime 9 camere e il ristorante nel 2004, dunque ho visto scegliere gli uomini, il management, i numeri, la progettualità in cucina… Sono tutti aspetti e un approccio che mi sta aiutando tantissimo. Tanti piccoli dettagli che sul lungo periodo fanno la differenza: noi facciamo imprese che gestiamo e che devono quindi essere profittevoli, non le diamo a fondi. L’Albereta ha 50 camere e 150 dipendenti: se non stai attento e non hai programmato certe cose, è facile che ti ritrovi 170 dipendenti anziché 150”, ha spiegato De Rosa.
Come funziona il lavoro? “Noi lavoriamo con professionisti come Franco Pepe che ha aperto la sua pizzeria all’interno dell’Albereta: sono campioni, eppure ci mettiamo degli anni prima di aprire, per non sbagliare nulla. Questo è un mestiere come un altro che richiede tantissima professionalità e richiede pochi minuti per prendere decisioni, devi gestire i problemi nell’immediato: non è una questione di idee, ma è un lungo lavoro, di attenzione al dettaglio”. Quali sono i canali che determinano il successo? "Dipende da dove vuoi andare: se vuoi essere un grande chef è determinante avere il coraggio di scegliere un percorso e puntare al massimo, non accontentarsi mai. Ecco allora la Guida Michelin, i 50 Best… è non c’è vento per chi non sa dove vuole andare: devi solo pensare a fare un certo tipo di ristorazione, perché se segui quei parametri poi i risultati arrivano”.
Un consiglio da dare a chi forma il personale? "Ci sono tante iniziative, le scuole, gli istituti di formazione... Ma quello che paga di più è stare tanto vicino a chi vedi che ha tanta voglia: coprire le sue lacune, formarlo, e tenerselo vicino. Dobbiamo investire nella formazione, ma anche investire in prima persona verso chi è bravo”. E un consiglio per chi fa questo mestiere? “Quello che mi fa impressione di questo mondo è che non riesco a vedere tra i competitor persone che non abbiano grande passione verso questo mestiere: senza passione non avrebbero successo quelli che non hanno successo. Quello che diceva Veronelli, “questo non è un mestiere ma un modo di vivere”, è verissimo: è un lavoro totalizzante. L’ultimo anno è stato molto difficile, spero che gli imprenditori in difficoltà riescano a ritrovare la voglia di fare questo lavoro, e che le istituzioni capiscano che queste persone meritano attenzione, perché sono il patrimonio dell’Italia”.
Isabella Potì e Floriano Pellegrino, chef di Bros’
La giornata è iniziata con Isabella Potì e Floriano Pellegrino, chef di Bros’ a Lecce, che hanno raccontato a Montemagno come è nato il loro ristorante, oggi stellato, ma anche la loro filosofia, il modus operandi e i progetti su cui si stanno concentrando, tra cui il rugby (Isabella è a capo del Bros’ Rugby Club).
“Abbiamo aperto cinque anni fa, è stato fondamentale il timing, un concetto che ci portiamo dietro dal rugby. Non abbiamo deciso di aprire a Londra, dove lavoravamo all’epoca, quindi abbiamo scelto di scommettere sullo straordinario: sapevamo che era difficile fare alta ristorazione qui, ma abbiamo puntato sull’identità, che fa la differenza contro ogni tipo di omologazione, cercando di spingere le persone anche da New York a venire a Lecce”, ha spiegato Pellegrino. “Abbiamo usato una comunicazione particolare per farci conoscere e per far conoscere il Salento”, ha aggiunto Potì. “Lo chef nel 2021 non può essere come quello di dieci anni fa. Oggi deve anche essere un bravo imprenditore e comunicatore, è una figura che si evolve”, ha aggiunto Pellegrino.
Per dare una dimensione internazionale, poi, la scelta radicale di prendere (quasi) solo ragazzi provenienti di altri Paesi. “La nostra è una sorta di accademia, prima di insegnare a cucinare ai ragazzi noi insegniamo a comportarsi, e molti nostri ragazzi sono anche rugbisti: con noi ci sono cuochi e camerieri rugbisti che vengono da tutto il mondo, tutti uniti dalla voglia di fare. La cucina e il rugby hanno gli stessi valori, la stessa disciplina e costanza. La selezione per entrare nel nostro team è molto dura”, spiegano.
La società Pellegrino Brothers è proprietaria del ristorante Bros’, della trattoria Roots a Scorrano e della new entry Sista, il delivery dedicato al mondo dei dolci, in particolare alle crostate, curato da Potì. “Si tratta della versione pop della pasticceria di Bros’, un progetto pilota che per il momento è attivo su Lecce, ma che vorremmo espandere, uscendo dai confini nazionali”, racconta Potì.
Come conciliare la standardizzazione dell’alta cucina con la creatività? “Sono un creativo ma sono anche disciplinato. Come diceva Martín Berasategui, bisogna essere dei samurai, avere una cornice per ogni situazione. Metaprogetto è il nostro laboratorio, è la parte dedicata alla ricerca e allo sviluppo, è lì che si sperimenta tutto il nuovo che diventa giornaliero, una volta standardizzato”.
Tra i progetti futuri, i Bros’ anticipano che stanno lavorando sull’auto-sostentamento. “Vorremmo creare una masseria a Scorrano (dove ci trasferiremo) con i nostri prodotti: proprio come facevano i miei nonni, ma con una cucina di avanguardia”, anticipa Pellegrino. “Durante la pandemia abbiamo chiuso i ristoranti, ma abbiamo comunque cercato di mantenere il nostro team come primo intento; il secondo proposito è stato mantenere gli obiettivi che avevamo in questo anno e mezzo e ci siamo riusciti, perché noi fin da subito abbiamo diversificato: questa è alla base del business moderno, diversificare le attività il più possibile. Lavoriamo anche con i nostri social e con la nostra immagine, e poi abbiamo il brand di streetwear, oltre a libri e collaborazioni”.
Valeria Raimondi, editor in-chief di Fine Dining Lovers Italia, Francia e Spagna.
Il terzo appuntamento della giornata ha visto la nostra Valeria Raimondi protagonista della chiacchierata con Mario Moroni. È stata l’occasione per ricordare come il branded content magazine by S.Pellegrino e Acqua Panna sia nato, nella versione internazionale, già da dieci anni. Sono poi arrivate l’edizione italiana e quella francese e dal 2021 anche la versione spagnola. “La caratteristica dei nostri magazine è quella di rivolgersi agli esperti del settore, ma anche ai food enthusiast che cerchiamo sempre di “sfamare” con consigli e suggerimenti per loro interessanti.
Se traduco l’espressione Fine Dining penso alla cucina raffinata, ma aggiungendo lovers penso agli amanti della buona tavola, come se ci fosse un gioco di parole e di intenti tra la cucina di casa e quella che ci porta fuori casa.
“Quando siamo partiti 10 anni fa il Fine Dining era molto legato all’alta ristorazione, dalla mise en place al cibo di alta ristorazione. A suo tempo pensavamo di rivolgerci proprio agli amanti di questo tipo di proposte, poi con il passare degli anni, ci siamo resi conto che è l’esperienza quella che conta non solo quella proposta dagli chef stellati. Proprio loro sempre di più provano la strada della semplicità di approccio per renderla più “democratica” come dice Ryan King, editor in-chief dell’edizione internazionale, e più casual. Negli anni abbiamo visto il nostro pubblico diventare sempre già attento e curioso, è nato anche il turismo enogastronomico e la strada della ristorazione si è molto estesa.
Per noi italiani il cibo è sinonimo di ricordi di famiglia, tradizioni, ma anche nuove proposte ed emozioni, diverso quello che accade all’estero.
Questa democratizzazione della cucina, a prescindere dalla pandemia, è iniziata già da un po’.
Sicuramente l’attenzione verso il cibo e la cucina è molto cambiata negli anni, grazie anche ai tanti programmi con chef stellati e internazionali protagonisti. Chiunque può e deve provare a portarsi a casa l’esperienza del cibo.
In questi dieci anni di Fine Dining Lovers è mai successo qualcosa di simile a quello che stiamo vivendo oggi, e come lo avete raccontato?
Un momento eccezionale come questo non c’è mai stato prima, sicuramente non in questo decennio. Il nostro mondo e la nostra vita si basano sulla socialità e la convivialità che solo una tavola può dare, venendo meno tutto questo è stato molto difficile provare a immaginare il futuro. Per raccontarlo abbiamo semplicemente seguito il nostro obiettivo quotidiano: informare e ispirare.
Abbiamo raccontato storie che potessero essere d’ispirazione di nuovi modelli di business, di nuove idee della ristorazione da tutto il mondo e che forse potessero essere replicabili dalla comunità di chef. Allo stesso modo abbiamo informando sui fondi e i corsi. Ci siamo occupati di ghost kitchen, grazie all'esperienza milanese di Via Archimede, quando ancora era un concetto nebuloso e abbiamo ricevuto molti riscontri su questo tipo di "ispirazione"
Avete notato differenze tra i ristoratori italiani e stranieri rispetto alle chiusure?
Le aperture a singhiozzo, la mappa delle regioni a colori di certo non hanno aiutato il settore della ristorazione italiana ed infatti non sono mancate le proteste e le manifestazioni. Diversi gli interventi dei governi francesi e spagnoli quindi certamente chef e ristoratori hanno vissuto diversamente l'esperienza pandemica. Ovunque nel mondo c'è stato un primo momento di riflessione e smarrimento cui ha poi fatto seguito la fase delle nuove idee di business e non solo. Dal delivery alle ghost kitchen abbiamo raccontato il più possibile tutte le iniziative messe in atto per sopravvivere come i supplementary services ovvero i ristoranti che per mantenere viva la catena con i propri fornitori si sono trasformati in piccoli supermercati. Un’esperienza interessante è quella del co-cooking che abbiamo raccontato con Filippo La Mantia che dopo aver chiuso il suo ristorante ha deciso di mantenere il delivery e ha quindi condiviso la cucina con Giancarlo Morelli che era aperto solo a pranzo e non poteva sostenere i costi con i soli servizi del pranzo. All’estero abbiamo notato molta attenzione al rapporto con la comunità che circonda il ristorante, dai fornitori agli abitanti di quartiere. Attika in Australia ha chiuso e aperto una panetteria e un delivery at home. Ana Ros, una volta chiuso il ristorante, ha fatto in modo di aiutare i produttori che si trovano nell’area del suo ristorante avviando una produzione di prodotti caseari per sostenere i produttori di latte. Eleven Madison Park ha lanciato il proprio food truck. Grant Achatz ha lanciato il delivery nelle vaschette di alluminio. Sicuramente il delivery è stato il protagonista di questa fase unica e che sarà parte integrante della nuova normalità.
Sperimentato il modo di resistere e anche di offrire nuove esperienze, ora siamo nella fase della sperimentazione per quanto riguarda la sicurezza. Oltre ad Alain Ducasse che ha testato dei sistemi di filtraggio dell'aria anche Dominique Crenn usa i raggi ultravioletti per regalare un'esperienza il più possibile rilassata e sicura. Perché non c'è delivery che tenga se c'è la possibilità di sedersi a tavola con persone piacevoli per occasioni felici.
Joe Bastianich, ristoratore, imprenditore e wine expert, Bastianich Hospitality Group
Ultimo ospite in ordine di tempo della giornata è stato Joe Bastianich, l'imprenditore italo-americano diventato famoso in Italia grazie alla sua partecipazione come giudice di diverse edizioni di Masterchef. Con lui Marco Montemagno ha spostato il discorso sul business management nel campo della ristorazione e sulle strategie migliori per rilanciarsi in un momento così delicato ma anche così strategico. "Passeggiando per le città si vedono tante serrande abbassate ma anche tante nuove realtà - ha detto Bastianich - Questa pandemia corrisponderà a quello che io chiamo 'Darwinismo della ristorazione'. Sono stati mesi che ci hanno imposto una riflessione, un'attenta analisi del mercato, ma ora dobbiamo essere pronti alla ripartenza, anche perché ci regalerà davvero tantissime opportunità. Là fuori c'è una clientela che è cambiata, che non vede l'ora di uscire di casa, di spendere e di consumare. Scopo del ristoratore è ridare alla gente quelle sensazioni di cui ha nostalgia". E lui stesso ha rivelato di essere in procinto di aprire due nuovi ristoranti in Europa, a Londra e Milano.
Bastianich, che vive letteralemente tra Italia e Stasti Uniti, ha poi analizzato la diversità di approccio agli affari e alla cucina di questi due Paesi: "In America tutto è business, colorato qua e là di passione. In Italia invece la vena artistica a volte sovrasta i business plan, e questo è un male perché senza profitto un ristorante va a gambe all'aria. Una cosa non esclude l'altra, lì sta la capacità del bravo imprenditore".
Ma Joe Bastianich, il giudice che a Masterchef faceva volare i piatti dei concorrenti ("eppure tanti di loro hanno poi lavorato nei miei ristoranti, di alcuni ho anche sostenuto economicamente i primi progetti" rivela), come sceglie il suo personale? E come fa a gestire gli chef, una tra le categorie di lavoratori più ingestibili per definizione? "Un mio potenziale collaboratore deve dimostrami solo una cosa, e cioè di essere felice di fare il suo lavoro. Che sia un barman, un lavapiatti o il capo della brigata. Io penso a tutto il resto, ma tu mi devi garantire di mettere passione in ogni tuo gesto, perché quella non te la posso nè vendere nè insegnare. Gli chef? Fanno uno dei lavori peggiori del mondo, perché sanno che saranno giudicati ogni minuto, ogni giorno, da chiunque. Sono persone insicure, che hanno bisogno costantemente di conferme. Devi far leva su questo: devi aiutarli ad arrivare ad avere quella conferma sempre, a credere in se stessi. Se gli dai quello, loro ti daranno il meglio del loro meglio. E se un giorno se ne vanno, pazienza. È naturale, è parte del business. Anzi, se uno chef va via da me per aprire il suo ristorante, per me è motivo di orgoglio, vuol dire che l'ho fatto crescere e quindi che ho fatto bene il mio lavoro".
Ma cosa farebbe oggi Joe Bastianich se dovesse riaprtire da zero, senza un soldo e senza mezza conoscenza nel mondo della ristorazione? "Aprirei un piccolo ristorante-trattoria ma di quelli ricercati, un po' fighetti, dove poter fare quasi tutto da solo, dalla cucina alla sala. Pochi coperti, alta qualità. Un posto che faccia subito fare soldi. Da reinvestire per crescere, ovviamente".
Food Talks | Day 2
Lara Gilmore, Founder Food for Soul
Il giorno due di Food Talks si apre con intervista di Marco Montemagno a Lara Gilmore, founder dell’associazione no profit Food for Soul. Si parla di cibo, della sua importanza e di come il suo inestimabile valore debba essere sempre di più un bene a disposizione di tutti.
Insieme a Marco Montemagno, Lara Gilmore racconta con passione il suo percorso, dall’incontro con Massimo Bottura, passando per Osteria Francescana fino alla nascita di Food for Soul.
I valori legati agli ingredienti distintivi della cucina povera erano già parte del progetto creativo di Massimo Bottura. quindi quando penso a Food for Soul, gli ingredienti base erano già presenti, magari non erano visibili o condivisi con il pubblico ma erano già parte dell’immaginario della vostra cucina?
“Lidia Cristoni di Trattoria Campazzo ha insegnato a Massimo le basi del lavoro in cucina, da come si gestisce un ristorante a come si struttura una linea a come comportarsi da chef in un ristorante. Uno degli insegnamenti più importanti che ha appreso da Lidia e il pasto dello staff: il valore, l’importanza di riunire lo staff attorno alla tavola prima del servizio. Dare valore a quel pasto perché condividi il pane con le persone con cui lavori, con cui condividi momenti di stress, momenti di gioia e in qualche modo Food for Soul ha avuto inizio lì. Nello staff a quel tempo non si parlava mai di lavoro, si parlava di vita, di fidanzate, di cosa succedeva nel mondo. Questa è l’essenza di Food for Soul, perché quando parliamo di Food for Soul e di Refettorio, il modello è riunire le persone intorno a un tavolo e la magia che accade quando si mangia insieme. Il tavolo del Refettorio è il tavolo dei frati, lungo e sottile, in modo che le persone siano una di fronte all’altra, che si possano parlare e vuole facilitare la conversazione mentre ci si passa il pane o ci si passa il sale”.
Il primo progetto di Food for Soul è partito nel 2015 a Milano, era il periodo in cui c’era un importante flusso migratorio e tanti rifugiati arrivavano in Italia, quindi si parlavano diverse lingue, si mescolavano diverse culture, diverse religioni e diversi background. Le persone si incontravano intorno a una tavola in cui veniva servito del buon cibo. Il cibo era trattato con dignità anche se si trattava di un contesto semplice in quella specifica situazione, si creava un senso di connessione umana, un'opportunità per le persone che magari dormivano per strada o che semplicemente transitano dalla città, tutti potevano rilassarsi e godersi un buon piatto e, appunto, trovare una connessione umana.
“È attorno alla tavola che possiamo condividere chi siamo, le nostre tragedie, le nostre gioie, anche un momento di silenzio. Perché a tavola siamo tutti uguali ed è per questo che Food for Soul e mangiare insieme allo staff al ristorante è così importante: puoi avere il capo chef e il lavapiatti allo stesso tavolo e si crea una relazione di rispetto. Spesso ci chiedono come è possibile far coesistere 3 Stelle Michelin e Food For Soul, che sembrano due realtà così opposte. Penso che se nel tuo ristorante c'è la tua etica, i valori e il rispetto per le persone, è semplice trasferire questi concetti in tutti i progetti che fai”.
Come ha influito la pandemia sul lavoro di Food for Soul? “Ovviamente con la pandemia il modo di operare di Refettorio è dovuto cambiare immediatamente. Non abbiamo più potuto invitare le persone dentro e riunirle intorno alla tavola ma abbiamo dovuto trovare il modo di ricreare lo stesso senso di unione, di dignità, di bellezza, di ospitalità senza poter ospitare le persone intorno a una tavola ma solo intorno a tavole virtuali. Quindi abbiamo cominciato a cucinare dei pasti che potevano essere consegnati, abbiamo creato punti di ritiro e in ogni pasto che abbiamo preparato abbiamo cercato di includere qualcosa che desse la stessa sensazione del nostro prenderci cura di quelle persone, fosse solo scrivere il menù a mano, un semplice messaggio nella confezione oppure una breve spiegazione di cosa era stato cucinato. Pensiamo che queste piccole attenzioni possano fare la differenza perché quando chi viene a ritirare un pasto prende il sacchetto e torna a casa o si siede al bordo della strada e trova un piccolo messaggio personale, all’improvviso è come se qualcuno stesse parlando con lui. Lo scorso anno abbiamo cucinato circa 450.000 pasti ricavati da circa 250 tonnellate di cibo di scarto (che sarebbe potuto essere sprecato o buttato) e l’abbiamo cucinato trasformandolo in pasti deliziosi. Questa è la base della cucina povera. Prendi qualcosa che sembra brutta e rendila un pasto fantastico”.
Ivan Aimo, Co-Founder & CEO Deliveristo
È la volta della chiacchierata tra Mario Moroni e Ivan Aimo, Co-Founder & CEO di Deliveristo, la piattaforma di delivery nata nel 2019 che fornisce gli chef di materie prime di altissimo livello provenienti da artigiani e piccoli produttori. Deliveristo, nonostante il difficile 2020 ha visto un’accelerata eccezionale che ha fatto bene sì all’azienda, ma soprattutto ai piccoli fornitori che hanno trovato in questo mezzo un po’ di respiro dall’inesorabile crisi pandemica. Aimo racconta di come la soluzione digitale e innovativa di Deliveristo cerca ogni giorno di semplificare la vita di chef, ristoratori e produttori mettendoli in contatto con un sistema snello e funzionale. In Italia il segmento della digitalizzazione B2B nel settore della ristorazione era molto debole prima del 2020, “le start up nei 5 anni precedenti si sono concentrate sul delivery all’utente finale ora si avvicina il momento del B2B che è un settore in cui il digitale non è ancora molto presente ma necessario” dice Aimo nell’intervista.
Cercare fornitori, selezionarli comparando i prezzi e infine ordinare velocemente in pochi clic fa risparmiare di media circa 2 ore al giorno ad ogni ristoratore e Deliveristo fa proprio questo, semplifica il meccanismo dell’approvvigionamento adattandosi ai modelli già avviati di Cina, India e USA.
“La mentalità e l’approccio della ristorazione stanno cambiando, in questo periodo i ristoratori hanno preso dimestichezza con il digitale e quello che stiamo notando è un grande cambio di mentalità sui ristoratori che si affacciano alla riapertura post pandemica. La ristorazione è in esponenziale evoluzione. L’effetto della chiusura ha portato a un’accelerazione di 5-6 anni su quella che sarebbe stata l’evoluzione fisiologica della digitalizzazione in questo settore”.
Quali sono gli ingredienti di Deliveristo per la rinascita? "Un mix tra tradizione e innovazione. Le persone vogliono andare a mangiare al ristorante e c’è grande voglia di mangiare bene e di qualità. Se hai un ristorante devi cercare di offrire la qualità, una qualità che deve costantemente innovarsi e variare. Ci sarà una bellissima ripresa, sono molto fiducioso e positivo e sono sicuro che ci sarà un grande futuro per questo settore”.
Matias Perdomo, chef di Contraste
Terzo intervento della giornata è stato quello di chef Matias Perdomo, una stella Michelin con Contraste a Milano, intervistato da Mario Moroni. Il discorso dello chef uruguayo trapiantato in Italia è stato di grande ispirazione, soprattutto per gli chef più giovani. La sua analisi, sincera e passionale, ha aperto a moltissime riflessioni sul futuro ma anche sul presente della gastronomia.
Perdomo ha subito puntato il riflettore sul bisogno di un ritorno all'umanità da parte del mondo della ristorazione: "Se pensiamo a 30-40 anni fa, chi apriva un ristorante lo faceva come investimento per la vita e per i suoi discendenti, Oggi invece se non ne apri 6 o 7 o se non prendi certi premi non sei nessuno. Invece, magari, serve molto meno a un cuoco per essere felice...".
Poi, è arrivata la pandemia. E ha evidenziato che "il modello gastronomico a cui eravamo abituati non è più sostenibile, non regge". "In questo ultimo anno e mezzo - l'analisi dello chef - i ristoratori per stare a galla hanno dovuto per forza esplorare nuove strade, e non è detto che non scopriranno che è stato meglio così. Prendete Contraste: abbiamo sempre avuto uno splendido giardino, ma non avevamo mai pensato di metterci i tavoli come invece abbiamo fatto ora per poter riaprire. Questo per dire che, a volte, le possibilità le abbiamo sotto gli occhi e non ci accorgiamo neanche".
Il dialogo tra Moroni e Pedromo si è poi spostato sui giovani, e sui giovani chef in particolare. "Fino a 10 anni fa un cuoco si sentiva pronto ad aprire il suo ristorante verso i 32, 33 anni mentre oggi i ragazzi già a 22, 23 anni hanno voglia di mettersi in proprio e rischiare - ha analizzato Perdomo - Non è nè giusto, nè sbagliato: è semplicemente diverso. Come mia figlia, che a 10 anni sa usare lo smartphone meglio di me... è il segno dei tempi. Il problema non sono loro, il problema è di chi non sa o non vuole comunicare con le nuove generazioni". E proprio la capacità di dialogare con la parte più giovane dello staff è parte fondamentale di un business sano: "Se tu non rendi i ragazzi che lavorano per te partecipi del tuo progetto - ha detto lo chef - loro dopo due anni se ne vanno. E tu hai buttato via tempo e soldi, hai fatto un investimento sbagliato".
Perdomo ha poi voluto citare S.Pellegrino Young Chef e S.Pellegrino Young Chef Academy quali esempi ben riusciti di come investire sui giovani talenti: "Quando diversi anni fa mi parlarono del progetto di S.Pellegrino Young Chef rimasi interdetto, non ne capii il senso, anzi non riuscivo proprio a coglierne l'obiettivo. Oggi posso dire con certezza che chi ha ideato questa competizione aveva lo sguardo 10 anni avanti rispetto al resto del mondo".
Infine, Perdomo ha voluto parlare a cuore aperto delle difficoltà del settore: "La vera rivoluzione gastronomica del futuro sarà quella umana. Il nostro è un lavoro bellissimo, ma nessuno può negare che sia un lavoro di sacrificio. Se lavorassimo 8 ore per cinque giorni ala settimana, falliremmo tutti nel giro di un mese. Ma non è più pensabile che chi lavora in cucina non possa avere una vita o fare una vacanza. Servono regole che rendano la vita di tutti più vivibile. Perché gastronomia significa tramandare cultura, non solo far da mangiare".
Food Talks | Day 1
Stefano Marini, AD Gruppo Sanpellegrino
Primo ospite del palinsesto di Food Talks, Stefano Marini ha contribuito a inquadrare il filo conduttore dell'intera settimana anche rispetto alla campagna #SupportRestaurants di S.Pellegrino, che già dal 2020 vuole essere un supporto concreto alla ripartenza del settore.
Sul tema degli scenari futuri della ristorazione, Marini si è detto ottimista: "I ristoratori hanno voglia di ripartire, consapevoli che in una situazione di difficoltà come quella vissuta c'è stata una forma di selezione: a fronte di molte imprese non sono riuscite a ripartire mentre altre sono nate, ma il consumatore ha una gran voglia di tornare a vivere questa forma di socialità".
Certi cambiamenti, invece, sono qui per restare: "Il senso di sicurezza che le persone avranno ancora bisogno di sentire ha spiegato Marini - cui si aggiunge la nuova esperienza di socialità a casa : è quindi possibile che molte persone sceglieranno di uscire meno spesso, ma quando lo faranno si orienteranno su qualcosa di differenziante. Il modello vincente sarà quello capace di garantire un'esperienza in sicurezza ma distintiva, che soddisfi l'appagamento".
Quanto ai nuovi modelli di business, uno dei filoni centrali dei Food Talks, c'è ovviamente il delivery: che, secondo Marini, resterà ma non con il peso che abbiamo conosciuto finora. "Potendo recuperare l'esperienza e l'atmosfera andremo verso modelli di maggiore commistione e contaminazione delle modalità di servizio"
Vincenzo Ferrieri di Cioccolati Italiani e Vittoria Zanetti di Poke House
Mario Moroni ha condotto la seconda diretta con Vincenzo Ferrieri (CEO di Cioccolati Italiani) e Vittoria Zanetti (founder Poke House). Entrambi presenti per parlare di Ubri - Unione Brand Ristorazione Italiana, associazione nata lo scorso anno, per creare nuove sinergie tra aziende simili, incentrate su format replicabili. “Ubri nasce dalla consapevolezza che il settore ristorazione organizzata è giovane in Italia, di fatto ha 5-6 anni di vita: prima c’erano solo catene di fast food straniere, pochi brand aprivano più locali. E oggi le aziende italiane devono essere all’altezza di competere con i cugini esteri. Ubri nasce con questa consapevolezza: ci sono molti prodotti italiani che meritano di entrare in un ambito internazionale: assurdo che le principali catene all'estero di caffè, gelato e pizza non siano italiane. L’associazione è nata per confrontarsi e mettere a disposizione di tutti le best practice: lavoriamo più verso l’interno che verso l’esterno”, ha spiegato Ferrieri, presidente di Ubri. “Confrontiamo i nostri listini e facciamo gruppi d'acquisto, sperimentiamo insieme tecnologie: il nostro obiettivo è rendere più performanti le nostre imprese; ognuno di noi nei nostri convegni racconta un fallimento, a differenza di quello che in genere si fa, e questo è tipico del mondo anglosassone, sono logiche nuove, che servono allo sviluppo”, ha precisato.
Emblematico, sul fronte dello sviluppo aziendale, il caso di Poke House, brand nato come dark kitchen, che in meno di tre anni ha aperto 34 locali tra Italia e estero. “Sono partita da zero, facendo la store manager nel locale, per poi diventare una figura organizzativa; bisogna sempre lavorare partendo dal basso: il nostro è stato uno sviluppo ampio e veloce", ha commentato Zanetti. "In Ubri ho sentito il legame forte tra i vari brand, il Covid forse ha accentuato e sviluppato di più questo legame, non ci sentiamo rivali; l'associazione ci ha trasmesso un senso di unione", ha aggiunto. Un aspetto importante che accomuna i brand di Ubri è il delivery: "Rappresenterà il 40% della ristorazione organizzata tra qualche anno, quindi è importante la connessione che generiamo sui clienti, ci dobbiamo lavorare molto; il comporto che crescerà di più è la ristorazione organizzata. Sviluppo internazionale, ibridazione del brand (con presenza digitale e fisica allo stesso tempo) sono nel futuro di Ubri", ha aggiunto Ferrieri. “Il periodo del Covid ha aiutato tutti i brand virtuali: noi volevamo trasmettere un preciso mood, quindi ci siamo impegnarti tanto sulla costruzione del brand stesso; il delivery è un altro lavoro: chi non lo ha fatto prima del Covid si sarà trovato in difficoltà, ma è un servizio che ti dà la possibilità di acquisire nuovi clienti, è veloce e divertente”, ha spiegato Zanetti.
Progetti futuri di Ubri? "Siamo molto concentrati sul fare le strategie di acquisto e piattaforma di confronto sui fatturati, e siamo sempre più attivi sul territorio: stiamo lavorando con il Comune di Milano per una mensa che sia a disposizione delle persone che non possono permettersi di comprare i nostri prodotti. Stiamo anche ragionando su sviluppi futuri insieme, anche all’estero: stiamo cercando di progettare uno sviluppo sinergico dei brand”, ha concluso Ferrieri.
Davide Rampello - direttore creativo di Rampello & Partners Creative Studio
A chiudere la prima giornata di dialoghi è stato Davide Rampello, direttore creativo di Rampello & Partners Creative Studio che, sempre in compagnia di Mario Moroni, ha spaziato nella sua riflessione sui valori che oggi e soprattutto domani devono (o dovrebbero) animare il mondo della ristorazione.
Rampello è partito dalla figura dell'imprenditore (nel campo della ristorazione, ma non solo), sottolineando la fondamentale differenza tra "chi progetta coscientemente la propria attività e ch invece ha solo la cosiddetta cultura del cassetto, cioè dell'incasso a fine giornata". Secondo lui, infatti, l'imprenditore illuminato e lungimirante "deve credere nella sua impresa, perché crea valore, economia e posti di lavoro. Essere imprenditore è e deve essere un lavoro mosso da uno spirito innanzitutto etico".
Si parla tanto di creatività anche nel mondo della cucina e della ristorazione, ma secondo Rampello la priorità di un ristoratore deve essere la progettualità - "cosa vuoi fare, come e con quali obiettivi" - soprattutto in un momento delicato come questo: "Bisogna sapersi sintonizzare ora più che mai con ciò che la situazione suggerisce, ecco perché è fondamentale che un progetto sposi le esigenze generali del momento" ha sottolineato Rapello.
Valore e valori sono le state due parole più ricorrenti nel dialogo tra Moroni e il direttore creativo. Che, rispondendo alla domanda su quale sia l'ingrediente essenziale per il futuro della ristorazione, ha citato Sant'Agostino: "Il futuro non è altro che il presente dell'attesa, intesa come tensione verso un progetto che amiamo, un obiettivo, assumendoci la nostra repsonsabilità del presente per viverlo seguendo i valori più autentici. Perché chi guarda al futuro senza vivere nel presente è destinato a non andare da nessuna parte".