Un purista e un uomo fedele. Non ci sono parole migliori per descrivere Ugo Alciati.
D'altronde come chiamereste un uomo che da vent'anni studia il gelato in tutte le sue forme e, dopo aver trovato la formula magica perfetta, lo porta ancora al tavolo al gusto fiordilatte, senza strane aggiunte?
Oppure un uomo che prende la macchina e percorre ogni settimana 75 chilometri per prendere il cardo gobbo da un contadino che ha una piccola produzione da cui si serve da anni?
La cucina di Ugo Alciati è fatta di "aggiustamenti" e "miglioramenti" infinitesimali sulle tradizioni di famiglia, già saldamente dipinte su una tela fatta di più di 50 piccoli produttori - veri e propri "gioiellieri" della terra - e gusti sinceri delle Langhe e del Piemonte.
Non ha mai ceduto alle mode di schiume e schiumette, e per lui la "bassa temperatura" era quella che faceva sua nonna sulla stufa quando, spostando la padella dal calore diretto, continuava la cottura fuori dal fuoco a 60 gradi.
Credit: OnStage Studio
Ma facciamo un passo indietro per capire in che terreno si estendono le radici di Ugo Alciati.
Tutto inizia nel 1961 quando papà Guido, mamma Lidia e nonna Pierina aprono un ristorante a Costigliole d'Asti, paese di 350 anime, che la domenica mangiavano tutte lì.
Ma papà Guido non è contento, non gli piace far da mangiare per i grandi gruppi e così, un'estate, chiude tutto e ristruttura. Il ristorante riaprirà con tovaglie di lino e fiandra bianche lunghe fino a terra, opere d'arte e apparecchiatura importante.
Insomma, papà Guido voleva fare qualità, spiegare in sala perché aveva scelto un determinato prodotto, perché aveva fatto tanta strada per procurarselo, perché l'aveva pagato di più e ne era valsa la pensa. Oggi nell'alta cucina è la norma, allora, negli anni Sessanta, era qualcosa di unico e nuovo.
Secondo cambiamento epocale: scompare il menu, o meglio, il menu c'è ma è composto solo da "piatti del giorno". Perché, dice papà Giudo, un ingrediente che oggi è perfetto, domani potrebbe non andare bene, per mille motivi, e quindi non può essere cucinato. "Al ristorante Guido si troverà solo il meglio - pensa - e secondo il volere di Madre Natura".
Da allora sono passati tanti anni, dal 1967 al 2002 il ristorante è rimasto a Costigliole d'Asti, dal 2002 al 2012 si è trasferito a Pollenzo e, ultima tappa, si è spostato a Serralunga d'Alba in un'antica tenuta e casa di caccia di Re Vittorio Emanuele II, circondata da 150 ettari di vigneti. Prima stella conquistata nel 1973 che brilla forte ancora oggi.
Eppure il fil rouge di scuola Alciati resta la perfezione della tradizione sempre in miglioramento.
Credit: OnStage Studio
"Odio copiare - spiega Ugo Alciati - per questo sono sempre rimasto fedele a ciò che abbiamo cucinato negli anni, apportando piccole pennellate di novità, che rendessero sempre più profondo il rapporto tra gusto ed estetica dei nostri piatti. Sono un perfezionista e ho applicato la scrupolosità della pasticceria, una delle mie passioni, alle ricette. Da noi in cucina sono comuni timer, bilance e termometri. Le prime cose che insegno quando un giovane entra nella mia cucina sono la pulizia e la precisione. Potremmo sembrare maniacali, ma per me sono ancora le indispensabili basi di partenza".
Poco esibizionista e decisamente modesto, si presenta al tavolo solo a fine serata per salutare il cliente. "Se sono in sala, come faccio a cucinare e a controllare che la cucina funzioni alla perfezione?" dice con la semplicità di chi ribadisce un concetto che dovrebbe essere scontato.
Ultimo ma non ultimo, quando inizia a parlare di agnolotti, ingredienti tipici e tradizioni locali, staresti ad ascoltarlo per ore tanto è approfondito e piacevole il suo racconto.
Tra i piatti "intoccabili" del ristorante ci sono gli agnolotti del plin al burro fuso e sugo d'arrosto, il vitello tonnato, il peperone ripieno di tonno, capperi e acciughe, la guancia di vitello brasata al forno, faraona al forno con la riduzione al Marsala e gelatina di aceto di Barolo.
E poi la tagliatella ai 40 tuorli condita con burro e una salamoia di tartufo bianco per ottenere la potenza massima del tartufo.
Come abbiamo detto, nel solco della tradizione, germinano abbinamenti nuovi, calibrati al millesimo, come il risotto mantecato con zucca, ricotta e acciughe.
Venite a conoscere meglio Ugo Alciati e i suoi 4 piatti icona, che potrete assaggiare fino a questa sera all'hub di Identità Golose di Via Romagnosi 3 a Milano. Per informazioni e prenotazioni cliccate qui.
Uovo morbido, asparagi e Parmigiano
Credit: OnStage Studio
In una cucina regionale che vede la prevalenza della carne, Alciati gioca in contropiede e presenta come prima portata un uovo arricchito da "tutta la primavera" delle Langhe. Si tratta di un uova di gallina bio allevato a terra, cotto in acqua bollente e aceto bianco per 2 minuti e mezzo, scolato e tenuto in caldo. Ad arricchirlo, asparagi di Santena in due consistenze: una "granita" preparata semplicemente con il cuore del gambo (cotto a vapore per 5 minuti a 100 gradi e tagliato a coltello), che diventerà la base dell'uovo, e le punte, sbollentate e saltate in padella con una noce di burro.
Per dare cremosità, una fonduta preparata con latte, panna e Parmigiano 24 mesi (quindi saporito ma non troppo sapido).
Tocco finale una grattugiata di pepe nero di Sarawack reidratato con vino bianco e genepì della Valdaosta.
La versione autunnale è l'uovo con crema patate di montagna, fonduta tiepida di Parmigiano e tartufo bianco a lamelle.
Plin al sugo di arrosto
credit: OnStage Studio
Ecco a voi uno dei piatti imperdibili. Se nella tradizione piemontese le carni del ripieno sono di tre tipi (vitello, maiale e coniglio) qui c'è una variazione sul tema. La pasta all'uovo è ripiena di stinco di vitello, carne di maiale, salsiccia e verdure (scarola e spinaci). Una volta cotti i plin, si scolano, si saltano in padella con il burro e il fondo dello stinco per dare ancora più sapore.
Importante da notare: i plin di Alciati sono grandi il doppio rispetto ai classici per ottenere un migliore bilanciamento tra il ripieno, più abbondante, e la pasta (il rapporto è di 60 a 40).
Baccalà, piselli e Seirass
Credit: OnStage Studio
Vista l'assenza del mare, i prodotti ittici in Piemonte erano necessariamente conservati, ed ecco il baccalà. Ma lungi dall'essere salato e "stopposo", in questo piatto torna ad essere sodo e dalla consistenza del prodotto fresco.
Lo chef prende il filetto (solo la parte alta), lo dissala e reidrata per 30 ore, lo porziona, toglie la pelle e lo cuoce con un filo d'olio in forno per 8 minuti a 240 gradi. In questo modo si sigilla la parte esterna, facendo sì che i liquidi restino all'interno e rendano le carni morbide e succulente.
A bilanciare la sapidità del pesce, una purea consistente di patate e piselli freschi e un po' di ricotta Seirass, formaggio vaccino tipico dell'Alta Valle Stura ai piedi del Monviso. Si ricava dal latte della razza bianca piemontese, Presidio Slow food, che produce solo 12 litri di saporitissimo latte al giorno, rispetto ai 60-70 litri della Frisona.
Il nome Seirass viene dalla forma di un sacchetto di tela dove viene messa a scolare e perdere il liquido in eccesso.
A completare il piatto, il tocco erbaceo di fave fresche e germogli di piselli.
Meringa, fragole e zenzero
Credit: OnStage Studio
La semplicità assoluta si fa dolce. La meringa è legata a un ricordo importante per lo chef Ugo Alciati e non manca mai né dalla piccola pasticceria né dalla carta dei dolci. Da bambino, infatti, quando gironzolava in cucina, la mamma e la nonna lo allontanavano per paura che si facesse male. Così, a 8 anni, scoprì una stanza più silenziosa e "protetta": era la pasticceria. Il primo "esperimento" culinario fu proprio una meringa. "Sembrava così semplice, albuni e zucchero, e invece....ci ho impiegato anni a mettere a punto la meringa perfetta - racconta emozionato lo chef - ma ora fa parte della mia storia".
Per questo dolce, lo chef Alciati cuoce in forno le meringhe a 120 gradi per 90 minuti, poi le estrae, le svuota dalla parte interna rimasta morbida e le rimette a seccare in forno per 20 minuti. Si creano così due gusci cavi, che lo chef riempie, a sorpresa con crema chantilly aromatizzata con zenzero fresco, buccia limone e vaniglia del Madagascar. Per finire, una passata di fragole leggermente acidulata dal succo di limone. Un dolce semplice, pulito e d'effetto.