Un fuoriclasse della cucina, guidato da rigore e genialità: Lorenzo Cogo, giovane chef veneto di talento, classe 1986, è noto nel panorama dell'alta cucina italiana per uno stile personalissimo, istintivo come lo chiama lui, grazie al quale riesce a combinare nei suoi piatti gli ingredienti del suo territorio in maniera inedita. Apre l'El Coq nel 2011, ristorante a Marano Vicentino, provincia di Vicenza, ma prima accumula numerose esperienze nelle più importanti cucine del mondo.
Australia prima, poi Giappone, Spagna, Singapore e Danimarca. Lascia l'Italia giovanissimo per mettersi alla prova, per imparare e conoscere, e ritorna con un bagaglio tecnico e culturale di assoluto pregio. La sua avventura inizia a Sydney, al Marque Restaurant di Mark Best; in seguito è il turno di uno dei più grandi ristoranti al mondo, il The Fat Duck, dello chef Heston Blumenthal.
Una delle esperienze che lo segna di più è però il Giappone, dove ha la fortuna di lavorare con Seji Yamamoto, dal quale apprende il rigore e il rispetto in cucina; qui rimane colpito dalla cultura e dal cibo, e sopra ogni altra cosa dalla centralità della qualità delle materie prime, oggi al centro della sua ricerca culinaria. Seguono altre importantissime tappe: Paesi Baschi, da Asador Extebarri, e Danimarca da René Redzepi. Dal Noma si porterà dietro la semplicità e il minimalismo, caratteristiche estetiche non solo dei suoi piatti, ma anche dell'arredamento del suo ristorante vicentino.
Tutte queste esperienze all'estero lo segnano positivamente, e lo rendono uno chef capace di guardare ai prodotti della sua terra con occhi completamente nuovi, dando vita a un tipo di cucina diversa, che non risponde a dei canoni di genere, ma che mette al centro l'importantissimo legame fra territorio e creatività.
Lei ha girato mezzo mondo e ha lavorato con chef dell’alta cucina internazionale. La cosa più importante che si è “portato a casa” da tutte queste esperienze?
Approccio alla quotidianità, non avere limiti, e una'apertura mentale a 360 gradi. Quando viaggi tanto vedi culture diverse e persone diverse, ed è inevitabile che il tuo approccio e le tue esperienze cambino. È fondamentale viaggiare per capire, per ampliare le tue vedute personali e culinarie. In Giappone, ad esempio, ho avuto il mio primo approccio alla cucina fusion, e con lo street food, lì si che riesci davvero a trovare di tutto.
Qual è stato il momento e la cultura più difficile da affrontare?
L'Australia, forse perchè è stata la prima volta che andavo così lontano da casa, ma la sognavo da tanti anni. Il rigore e i tempi di lavoro, all'inizio mi hanno creato qualche difficoltà.
Quali sono i suoi obiettivi futuri a questo punto?
Continuare sicuramente il mio lavoro all'El Coq, perfezionarmi e migliorare, investire su di me e sul mio progetto.
Quale elemento della sua cucina può dire che derivi esclusivamente dalla tradizione italiana?
Amo moltissimo la brace, anche se è internazionale come metodo di cottura. Italiane sono sicuramente le materie prime, i prodotti della mia terra, che adoro utilizzare, solo che l'approccio a questi prodotti è completamente differente dalla classica tradizione nostrana.
Il suo ristorante si chiama El Coq e la sua foto ufficiale la ritrae con una gallina in braccio: come mai?
È tutto collegato al concetto di prodotti naturali, provenienti dalla fattoria, nel mio caso dalle fattorie venete, e non dal supermercato. Sono legato ai miei prodotti, all'uso delle materie prime biologiche, che ritrovo proprio nella mia terra, vicino a casa e vicino all'El Coq.
Lei è ancora molto giovane, ma già affermato: che consiglio darebbe a chi volesse oggi cominciare una carriera “in cucina”?
Sicuramente direi di iniziare dal basso, cercando di capire qual è la cosa che ci piace o non ci piace; cercare inoltre di avere una base e capire se è il lavoro che ci rende davvero felice. La vita di uno chef è fatta di tantissime ore in cucina; questo aspetto non cambia neanche quando si è affermati. Non si può quindi partire da un pensiero semplice come quello "mi piace cucinare per la mamma" e pensare che questo basti. Bisogna essere realisti e provare mettersi in gioco, e capire quanta passione c'è, e bisogna soprattutto essere convinti del percorso intrapreso, cercando di trovare sempre un elemento che ci riesce a renderci felici.
E cosa la rendeva felice quando ha iniziato?
La materia prima, mangiare un buon pezzo di carne o pesce; una materia prima scadente pregiudica anche i piatti più fantasiosi.
Il suo legame con la natura e soprattutto la salute è molto presente nella sua cucina; pensa che l'alta cucina debba andare in quella direzione?
Quello che facciamo tutto il giorno è mangiare, se si mangia bene si sta meglio e se si mangia in modo salutare forse si va meno dal dottore; non è scontato, ma logico. Bisognerebbe dare più peso a quello che c'è dietro un grande piatto, e bisognerebbe informarsi sempre sulle materie prime. Non si deve considerare un piatto solo per un abbinamento e perché dobbiamo assolutamente usare una materia prima; è necessario che ci sia una pensiero, dietro l'alimentazione e la cucina.
È per questo che da un po' di tempo collabora con un esperto naturopata?
Si. Il nostro rapporto è nato un anno e mezzo fa. L'ho incontrato in occasione del mio piatto per le Olimpiadi, Il Raviolo olimpico. Adesso la collaborazione continua, attraverso uno scambio continuo: io gli do degli input su quale piatto vorrei sviluppare e lui mi da qualche nozione sugli alimenti e sugli accostamenti fra le materie prime, creando così dei piatti non solo buoni, ma anche sani.