Non si aspettava di vincere, Marco Acquaroli. Il trionfatore al Bocuse d'Or Italia 2016, che si è tenuto domenica 31 gennaio e lunedì 1 febbraio ad Alba, era già pronto a segnarsi cosa si poteva fare meglio per preparare la prossima edizione. Outsider dei concorsi di cucina, lo chef del Four Seasons Des Bergues di Ginevra è però un esperto del Bocuse, concorso sponsorizzato da S.Pellegrino. «Posso dire di averlo mangiato. Ho visto tutti i video su YouTube, vincere sarebbe il sogno di una vita: è il Pallone D'Oro di un cuoco».
30 anni precisi, nato e cresciuto in Lombardia, dopo l'annuncio della vittoria si muove con entusiasmo sorridente tra fotografi e giornalisti, ben contento di raccontare i dettagli dei piatti che l'hanno portato alla vittoria: il "concetto di povertà" dietro al Filetto di storione con alghe, cipolla e caviale, il Cervo al ginepro, flan di zucca, millefoglie di topinambur e tartufo, brasato di coscia di cervo che ricrea l'atmosfera selvatica e invernale dei boschi.
Dopo aver battuto undici colleghi alla finale italiana, ora rappresenterà il nostro paese al Bocuse d'Or Europe di Budapest i prossimi 10 e 11 maggio.
Come si preparerà a sfidare gli altri finalisti europei?
Mercoledì 11 maggio, ore 11, box 3. Sapevo già data e ora precisa della prova italiana, ci sono capitato per caso navigando sul sito e non l'ho più dimenticato. Non so ancora come mi allenerò, devo parlare con i miei datori di lavoro. Negli altri paesi gli sponsor e i governi investono cifre impressionanti per aiutare i candidati, spero che l'Italia sia finalmente pronta. Partecipare al Bocuse italiano era già un arrivo per me, ora si è trasformato in un inizio.
E invece come si è preparato per il Bocuse Italia?
Un'organizzazione infinita e complessa, anche dal punto di vista logistico: lo storione ad esempio in Svizzera non poteva entrare. Dietro queste 4 ore e mezzo di prova ci sono due mesi di lavoro, 24 ore su 24. Ma è da circa otto anni, da quando mi sento un po' più a mio agio in cucina, che penso a partecipare.
Cosa pensa l'abbia portata alla vittoria?
La squadra. Il team di oggi, la forza della grande brigata del Four Seasons che mi ha dato spazi e attrezzatura, il mio commis. Come diceva il grande Benoît Vioiler, che purtroppo è appena scomparso, "Circondarsi dei migliori è esigere la perfezione". Una frase verissima e toccante.
Come definirebbe l'impronta della sua cucina?
Leggerezza e semplicità. Ma soprattutto il gusto, quello non può mancare mai. Un piatto bello non basta. È come una donna bella ma senza consistenza: ti porto a cena, ma poi? Se non sai parlare, se non sai essere la compagna che vorrei con me per i prossimi 40 anni, finisce lì. E infatti era la presentazione la cosa che mi spaventava di più, anche se mi sono documentato per ore guardando vecchie immagini e fotografie del Bocuse. Sono in pochi compulsivi come me!
Quanta parte della sua vita assorbe la cucina?
Lavorare a Ginevra è bello anche per la quantità di tempo libero che ci danno. Ho modo di investire sul mio lavoro e affrontare grandi sfide. Le mie vacanze sono gli stage, come quelli al Geranium di Copenaghen o al Piazza Duomo. E quando torno a casa, dopo 18 ore di lavoro, il mio modo di rilassarmi è guardare video di cucina o ordinare libri di cucina su Amazon.
Quando è nata la passione per la cucina?
In un certo senso da sempre: mio padre era fornaio a Palazzolo sull'Oglio. Poi mi sono formato al Miramonti l'Altro da quel maestro di Léveillé, proprio quando erano gli anni d'oro della Francia, e da Vittorio Fusari: genio e sregolatezza, ma territorio puro. In un certo senso tutto ha contribuito a portarmi qui. Perfino il rifiuto ricevuto da Perbellini dieci anni fa (presidente Bocuse, NdR): un perdente trova la scusa, un vincente la strada.
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