Una concezione di cucina quasi mistica, il rispetto per la bellezza e per la natura degli elementi. Questo è Marco Cahssai, chef del ristorante Atman, che si trova all'interno di Villa Rospigliosi, prestigiosa dimora del '600.
In questo luogo, insignito di una stella Michelin, Cahssai, nato nella capitale, è cresciuto al fianco di Igles Corelli, fino a diventare Head Chef del ristorante. Oggi Marco Cahssai ha preso le redini dell'Atman, che è diventato il suo luogo di ricerca e passione. Ecco cos'ha raccontato a Fine Dining Lovers.
Com’è nata la sua passione per la cucina?
Nel medesimo istante in cui nasceva la mia passione per gli elementi. Credo di essere sempre stato affascinato dal ciclico intervento di acqua, terra, fuoco e aria. Ho posato per la prima volta gli occhi sulla cucina con uno sguardo quasi alchemico, esoterico, subendo il fascino di quelle trasformazioni alla base della cucina stessa. Il mio sguardo non è mai cambiato e tuttora la osservo con lo stupore degli esordi.
Si considera un autodidatta?
Senza dubbio. Lavoravo nelle cucine che mi davano spazio, fino a quando, nel 2005, frequentai l'Accademia del Gambero Rosso. Lì incontrai Igles Corelli. Con lo chef ho percorso tredici anni della mia vita, sia personale che professionale, arrivando a ricoprire al suo fianco il ruolo di Head Chef. Abbiamo ottenuto importanti riconoscimenti: 1 Stella Michelin, 3 Forchette del Gambero Rosso, 3 Medaglie del Touring Club e 2 Cappelli dell'Espresso.
Possiamo dire che Corelli è stato il suo maestro?
Sì, è stato lui ad aver cambiato per sempre il mio modo di guardare la materia, il mio modo di prenderla in mano per donarle nuova vita.
Lei è cresciuto professionalmente al ristorante Atman?
Sono qui da quando l'Atman era solamente nei sogni di Igles Corelli e nei miei. L'ho inaugurato nel 2010 a Pescia, ne ho seguito il suo spostamento a Lamporecchio, ne ho preso completamente le redini alla fine del 2017.
Come definirebbe la sua filosofia di cucina?
Ciclica, ancestrale. Credo che la cucina parli dell'uomo, dei suoi albori, delle sue antiche aspettative. Credo che guardare al significato ancestrale del cibo, interrogarsi sull'antico rapporto tra cibo ed essere umano porti a svelare nuove strade, nuovi emozionanti orizzonti. Solo sapendo da dove veniamo sapremo dove dirigerci.
Come ha coniugato la sua idea di cucina ad una location storica e prestigiosa come quella di Villa Rospigliosi?
Il peso e la responsabilità nel coniugare una cucina di ricerca ad una cornice così importante trova la sua dimensione nella bellezza. Opero e cucino affinché i miei piatti siano lo specchio concreto della meraviglia che mi circonda quotidianamente. Credo ci sia profonda ricerca del bello al ristorante Atman.
Dopo tanti anni assieme, la cucina dello chef Corelli è in qualche modo ancora presente all’Atman?
Se c'è una cosa che ritengo di aver appreso da lui è il rispetto. E non credo ci sia mattina che io inizi a lavorare senza il profondo senso di rispetto che mi è stato insegnato nei confronti della materia, di quello che faccio, del cliente, della mia squadra.
Propone due menu degustazione: Moto a Luogo e Moto da Luogo. Come mai questi nomi?
Semplicemente penso che la cucina sia formata da questi due movimenti: andare e andare guardando da dove si viene, piumare le proprie ali per un lungo volo, tenendo sempre stretto il filo che ci riconduce a casa.
Che importanza dà al fattore umano nel suo ristorante?
Tutto è vano senza i cuori. Non riesco ad amare nulla che viene fatto senza essere accompagnato da un battito, dalla passione mia e dei miei ragazzi. Il cuore è la cosa più importante che il ristorante Atman possieda; qui l'amore è il motore di ogni cosa.
Il piatto attualmente in carta che più la rappresenta?
Agnello e lava: una terra di vulcani e pastori. Un piatto dove si crea un piccolo microcosmo dall'impercettibile equilibrio di tre semplici elementi: agnello, ricotta e pomodoro. Una ricetta che permette al contempo di immergersi in un'immagine antica e semplice della nostra terra: un agnello che bruca tra pascoli e vulcani.
Come si pone nei confronti della tematica del chilometro zero?
Non ho preconcetti né favoritismi, credo che il chilometro zero sia una dicitura spesso troppo stretta per una cucina che vuole raccontare un territorio. Noi non parliamo mai di chilometro zero, ci limitiamo a capire quando un piatto dona la percezione di un'identità, che non deve essere per forza quella di ciò che si trova appena fuori l'uscio di casa.
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