Portare un ristorante storico milanese nella contemporaneità e allo stesso tempo preservarne l'identità: Alessandro Negrini e Fabio Pisani sono i giovani chef che nel 2005 hanno preso le redini de Il Luogo di Aimo e Nadia al posto di un nome importante dell'alta cucina qual è Aimo Moroni. Arrivati nelle cucine del ristorante, Alessandro e Fabio sono intervenuti sull'organizzazione, sulle materie prime e ovviamente sul menu, riuscendo comunque a mantenere viva la storia dell'insegna di via Montecuccoli. Da quasi 10 anni dirigono la cucina, lavorando in contemporanea su altri progetti ristorativi come Al Fresco e LadyBu, questa volta in veste di consulenti più che di chef.
Cosa rende l'amicizia e il rapporto di lavoro fra Alessandro e Fabio così proficuo? "La sfida", spiega Fabio: "In cucina e fuori c'è sempre una sana competizione. È dallo scontro che scatta la scintilla".
Come descrivereste la vostra cucina, e il vostro lavoro da Il Luogo di Aimo e Nadia a chi non lo conosce?
Fabio: Vendiamo emozioni al tavolo.
Alessandro: Il nostro punto di arrivo è il cliente, tutto quel che c'è in mezzo dev'essere sempre di grandissimo livello. Chi viene a Il Luogo di Aimo e Nadia ha delle aspettative molto alte e il nostro compito è ripagarle. Chi varca la soglia vuole trovare una cucina contemporanea al passo con l'evoluzione che ha avuto questo ristorante, con un grande rispetto della materia prima e per la tradizione. Questo non vuol dire non essere innovativi: noi, per esempio, non ci fermiamo mai con la ricerca di nuovi ingredienti e nuovi abbinamenti.
Quali sono quindi le materie prima che non devono mai mancare nella vostra cucina?
Fabio: Tante verdure: ci piace stare attenti alla salute del cliente, proprio come ha sempre fatto Aimo. È difficile lavorare la verdura, ma la proponiamo sempre in carta. Ci piace anche ricercare nuovi prodotti, come quelli dimenticati: prendi ad esempio la Carota di Polignano, presidio Slow Food, che stiamo usando molto in cucina in questo periodo.
Vi siete incontrati al ristorante Dal Pescatore di Nadia Santini; come siete arrivati da Aimo e Nadia?
Alessandro: Ci siamo incrociati al bar dell'oratorio di Canneto sull'Oglio; lui era appena arrivato a lavorare da Aimo e Nadia. Entrambi venivamo da esperienze dure, da maison strutturate; al Dal Pescatore c'era rigore ma l'ambiente era familiare, eravamo pochi in brigata. Abbiamo lavorato lì a stretto contatto per un anno e mezzo e ci siamo conosciuti meglio. Dopo è arrivata l'opportunità da Aimo e Nadia: quando mi fu fatta l'offerta dalla proprietà mi venne l'idea di coinvolgere anche Fabio, che nel frattempo stava pensando di andare di nuovo all'estero; organizzai un incontro al ristorante e dopo quello Fabio disse ok al progetto.
Fabio: Era una bella sfida; volevamo recuperare la seconda stella in meno di tre anni, ce l'eravamo prefissati come obiettivo e ci siamo riusciti nel 2007. Siamo partiti piano piano, confrontandoci fra di noi e con Aimo: la crescita è arrivata proprio dai contrasti e dalla condivisione.
Cosa ha significato per voi prendere le redini di un ristorante con tanta storia alle spalle?
La cosa interessante di questo posto è che c'è una continuità fra il passato e il presente: i piatti storici di Aimo continuano a essere in carta perché sono l'identità del locale e a quelli si aggiungono i nostri. La riconoscibilità di un piatto è importantissima: uno chef disse che i piatti che s'inventano nell'arco di una vita non sono tanti, quando arrivi 4 o 5 piatti, di quelli che lasciano il segno, è già tanto. Quando un piatto viene subito riconosciuto dalla gente e rimane nella storia hai raggiunto il tuo obiettivo: ne sono un esempio gli
Non solo alta ristorazione: raccontateci dei vostri progetti più low cost Al Fresco e LadyBu.
Alessandro: La ristorazione low cost c'è sempre stata, ma era fatta male; nei bistrot parigini, spendendo qualcosina in più, si mangiano dei piatti completamente diversi. La ristorazione di alto livello e quella low cost non devono essere completamente diverse, ma devono avere tanti punti in comune: la professionalità, la pulizia, il rigore, l'educazione del personale e buone materie prime. Una volta che rispetti questi cinque parametri puoi fare una buona ristorazione anche a basso costo; certo, forse in carta non potrà esserci il Gambero Rosso di Sanremo, ma con ingredienti stagionali che costano meno si può comporre comunque un ottimo menu.
Fabio: Al Fresco è basato sulle verdure e sulla stagionalità dei prodotti, quindi il food cost è molto più basso rispetto a quello dei grandi ristoranti. Tutto quel che è superfluo viene eliminato, come ad esempio le grandi apparecchiature). Anche LadyBu è diverso: lì sembra di mangiare a casa, il menu è a base di formaggio e la spesa per gli ingredienti principali è bassa perché c'è un caseificio di proprietà alle spalle del locale. Al Fresco e LadyBu sono due realtà che abbiamo adottato e che grazie alle persone di cui ci fidiamo, Kokichi Takahashi e Riccardo Orfino, stanno andando bene. Noi siamo presenti fisicamente solo ne Il Luogo di Aimo e Nadia, e avevamo quindi bisogno di persone su cui appoggiarci e di un gruppo affiatato, che mettesse il cuore in ogni piatto.
l locale più innovativo in cui siete stati recentemente, in Italia o all'estero.
Fabio: Quando a Natale sono tornato a casa mi hanno portato a Bisceglie, dove una famiglia ha un frantoio privato che è stato diviso in due: da una parte c'è la produzione dell'olio e dall'altra una parte ristoro, un piccolo bistrot dove tutto è a base di olio, e dove ti fanno fare la degustazione degli oli su diverse bruschette. L'ho trovato molto interessante.
Qual è secondo voi la sfida della cucina contemporanea?
Alessandro: Portare il cibo di qualità alle masse. Questo credo sarà possibile grazie all'ingegnerizzazione di alcuni procedimenti. Una giorno ero in un Autogrill e sono rimasto sorpreso da una macchina che faceva una schiuma del cappuccino perfetta; era semplicissima da usare, chiunque avrebbe potuto farla. La sfida del cuoco, secondo me, non è fare sempre più buoni i propri piatti, ma quella di far arrivare a sempre più persone i suoi prodotti. Quando dico ingegnerizzare non penso alle stampanti 3D o per forza ad aspetti tecnologici, ma penso più che altro alla maniera di rendere un buon piatto, pensato da uno chef, replicabile facendolo così arrivare dappertutto: negli asili, nelle mense o negli ospedali.
Lo chef che rappresenta l'Italia in questo momento?
Pino Cuttaia e Gennaro Esposito, perchè spingono l'Italia. Siamo in tanti adesso, fortunatamente, e tutti rappresentano e vogliono rappresentare l'Italia. La cosa più importante però è come si portano i valori nostrani all'estero.
E come si porta il Made in Italy all'estero?
Si porta in gruppo, con gli altri colleghi e i fornitori. Quando uno chef italiano va all'estero deve portare con sé i prodotti dei fornitori nostrani. Si fa vera cucina italiana solo con i nostri prodotti, e solo così si può esportare il vero Made in Italy nel mondo. Quando succederà questo su larga scala allora ci sarà una vera cucina italiana all'estero.