Se, in tutta Italia, c’è chi ha reagito all’emergenza Coronavirus chiudendo il proprio ristorante ancor prima che lo imponessero i decreti governativi, per poi avviare in un secondo momento il servizio di delivery (unica attività attualmente consentita), in Campania la situazione è diversa. Secondo le disposizioni del Governatore della Regione Vincenzo De Luca, infatti, la consegna a domicilio del cibo cotto è vietata. Pizzerie, trattorie e ristoranti sono sempre più sofferenti e, ora, in oltre 400 sottoscrivono l’appello #IoVoglioRipartire.
“In una prima fase dell’emergenza abbiamo tutti aderito di buon grado a questa chiusura generale, ma si parlava di 15-20 giorni. In quel momento ci sembrava la cosa più giusta da fare. Ora, però, è passato un mese e mezzo: perché non possiamo avere la possibilità di fare il servizio di delivery in sicurezza, come avviene nelle altre regioni e nel resto del mondo?”, commenta Massimo Di Porzio, patron del Ristorante Pizzeria Umberto, presidente Fipe - Federazione Pubblici Esercizi della Campania.
“Al momento in Campania l’apertura (e la consegna a domicilio) è consentita solo a supermercati, negozi di alimentari come pescherie e salumerie, oltre ai panifici, che però fanno pizzette al taglio… In questo modo si sono create distorsioni e disparità sul mercato. Anche i pasticceri sono chiusi, perché il codice Ateco 10, cui è stata consentita l’apertura, è quello relativo non alla vendita diretta, ma alla produzione per terzi. Il risultato? A Pasqua, paradossalmente, potevano essere consegnate a domicilio le pastiere prodotte in altre regioni, ma non quelle provenienti dalla Campania. Si è creata un po’ di confusione e speriamo che per il futuro si segua un protocollo nazionale uguale per tutti”, spiega Di Porzio.
#IoVoglioRipartire: la campagna social lanciata dai grandi pizzaioli
Come è nata la campagna #IoVoglioRipartire? “Sui social abbiamo lanciato questo hashtag cui hanno aderito subito più di 400 locali, ma il numero di adesioni è in costante crescita: le persone si sono aggregate spontaneamente”, racconta Di Porzio. Tra i primi ad aver sottoscritto l’appello, nomi noti della scena gastronomica partenopea e regionale. “Abbiamo creato un gruppo con Gino Sorbillo, Alessandro Condurro della pizzeria Da Michele, Ciro Salvo di 50 Kalò, Paolo Surace e Franco Pepe di Pepe in Grani: noi sei ci siamo sentiti per fare qualcosa, non tanto e non solo per le nostre aziende, ma anche per dare voce ai piccoli imprenditori che non si sentivano rappresentati”, continua.
“Per esempio, il delivery a me non serve: a Caiazzo, dove si trova la mia pizzeria, non ha ragione d’esistere, perché è un piccolo centro. Sto aderendo alla campagna per aiutare gli altri, la maggioranza dei colleghi - soprattutto chi si trova in città - ha bisogno di uno strumento per continuare a vivere e non posso non appoggiarli”, ci dice Franco Pepe.
Una campagna che accende i riflettori su una questione di opportunità, come precisa Di Porzio. “Vogliamo avere le stesse opportunità delle altre regioni, lo vediamo come un primo passo verso la cosiddetta ‘fase 2’: con le aziende chiuse da oltre un mese, non è che dall’oggi al domani si mette in moto la macchina. Ci vuole del tempo, ci vogliono protocolli per lavorare in sicurezza, ma non dobbiamo stravolgere completamente le nostre attività: i locali aperti al pubblico erano già oggetto dei controlli delle autorità, dobbiamo munirci dei dispositivi individuali di sicurezza quali mascherine e guanti, naturalmente”.
La proposta di un delivery in sicurezza a Napoli e in Campania
“La nostra proposta è di utilizzare una pellicola alimentare o una busta di carta per proteggere ulteriormente le confezioni, perché i contenitori che usiamo sono già a norma. Anche i supermercati consegnano con i sacchetti normali, la nostra idea in sostanza è di usare un contenitore che possa contenerne altri”, spiega Di Porzio.
“La pizza che prepariamo non è pericolosa: nel forno cuoce a 450 gradi, quindi è molto sicura, e viene collocata subito nel box a norma, avvolto in pellicola a norma, quindi data a fattorini per la consegna - fattorini che non hanno mai smesso di consegnare beni dei supermercati in questi giorni. Perché il cibo caldo deve essere considerato rischioso? La pizza o un piatto di pasta terrebbero le persone di più in casa, eviterebbero di uscire diverse volte al giorno per andare a fare la spesa, o affrontare lunghe code ai supermercati”, aggiunge Gino Sorbillo.
Intanto, qualche spiraglio di apertura si intravede all’orizzonte: si avvicinano due date importanti per i pizzaioli e i ristoratori campani. “In Regione, sabato 18 aprile ci hanno chiesto di presentare delle proposte sulla sicurezza, in previsione della ‘fase 2’, mentre la prossima settimana abbiamo in programma un incontro con le associazioni di categoria”, racconta Di Porzio. E continua: “Ovviamente ci sono dei pre-requisiti di sicurezza come la misurazione della temperatura al personale prima del lavoro, la sanificazione degli ambienti, l’uso di guanti e mascherine per tutti, la sanificazione delle mani prima di iniziare a lavorare: la maggior parte di queste azioni, in realtà, già prima le facevamo, aggiungeremo l’uso dei dispositivi di protezione individuale”.
“Noi operiamo, ma la responsabilità di scegliere quali saranno le disposizioni di sicurezza spetterà alle autorità. Non vorrei solo che poi si optasse per procedure che non consentiranno ai piccoli imprenditori di lavorare perché troppo costose: dobbiamo fare qualcosa di compatibile con l’operatività delle aziende. Vogliamo che queste misure diventino oggetto di un protocollo”, conclude Di Porzio.
A chi verrebbe affidata la consegna a domicilio? “Adesso ci sono tante società che già operano sul food delivery, ma hanno margini un po’ alti: stiamo verificando la possibilità di fare convenzioni, di abbattere un po’ i costi, oppure di creare dei consorzi per poterlo fare in proprio, in modo da usare il personale in esubero, anche se è un po’ complicata questa ipotesi. Nella prima fase chiederemo una convenzione, sperando che ce la accordino, cercheremo di fare pressione sui food delivery, affinché le consegne siano fatte in sicurezza, chiederemo delle garanzie circa l’applicazione di tali misure”, risponde Di Porzio.
Verso la “fase 2” delle pizzerie campane, tra ipotesi e difficoltà
La situazione non è facile, come si può immaginare. “Stimiamo, per tutto il comparto, una perdita attorno al miliardo di euro in questo periodo di chiusura”, ci dice Di Porzio. “Ci aspetta un periodo difficilissimo, anche riaprendo si avranno delle difficoltà. Dovremo rimboccarci le maniche e non pensare a ciò che si è perso. Molti esercizi, con l’incremento del turismo, avevano avviato anche il secondo punto vendita: sarà difficilissimo ripartire, ma penso che da qui al 2021 ci riprenderemo”, prosegue.
“Noi stiamo chiedendo un’apertura più leggera, con due persone dello staff per ogni forno, oltre al pizzaiolo: i nostri locali hanno anche un valore sociale, la pizza è un cibo che sfama e, proprio per questo, vorremmo riattivare i nostri forni, per preparare solo Margherita e Marinara: per noi è importante, per iniziare a capire come ricominciare, per prendere le misure, per vedere se funzionano ancora gli impianti”, commenta Sorbillo. “Non c’è stata data la possibilità di consumare la merce, anche per panificare e regalare i prodotti, tra poche settimane sarà scaduto tutto: per noi è meglio aprire ora ‘a filo di gas’, invece di riaprire tra settimane e settimane. Senza turismo, magari con impianti non funzionanti, sarebbe uno scenario davvero apocalittico”.
Il pizzaiolo, che ha locali non solo a Napoli, ma anche in altre città d'Italia (come Milano e Roma, dove il delivery è attivo), ci restituisce una visione molto chiara dello scenario economico della sua impresa. “Tra poco ripartirà il delivery anche a Genova, ma sarò costretto a chiudere quattro dei miei locali, ci sono 270 persone che lavorano nel mio gruppo, e più dei due terzi hanno delle famiglie. Come fare? Ci ritroveremo tutti morosi degli affitti dei nostri locali". Sta funzionando il delivery? "Mediamente consegniamo 40-50 pizze al giorno a Milano e a Roma, nel fine settimana arriviamo a 80-100, ma dobbiamo considerare che diamo una percentuale che va dal 10% al 30% per il servizio di consegna: il delivery non ci salva la vita, non risolve i problemi, ma è un modo per darci un po’ di fiato”, risponde.
Previsioni sulla ‘fase 2’? “La gestione dei bagni e della sala sarà difficile, faremo dei turni: apriremo le pizzerie dalle 11 alle 23 per dare la possibilità ai clienti di potersi spalmare nell’arco della giornata, passeremo da 160 coperti a 40. Ma ci sono troppe domande a cui ancora non possiamo dare una risposta”, conclude Sorbillo.