Ho già avuto modo di spiegare quanto creda nel potere delle parole e nella loro capacità di trasformare la realtà che ci circonda.
Ecco, se c'è una parola che negli ultimi due anni ha riempito le nostre bocche, teste e bacheche social questa non può che essere resilienza: dall'inizio della pandemia a oggi ne abbiamo imparato il significato, l'abbiamo evocata, ci siamo riconosciuti in quella capacità tutta umana di superare le difficoltà pur navigando a vista, qualcuno (molti, in realtà) l'hanno addirittura tatuata sulla pelle per trarne forza e non correre il rischio di vedere i suoi benefici andare in fumo.
Sono stati resilienti chef e ristoratori che, a locali chiusi, hanno lanciato da zero servizi di delivery e inaugurato ghost kitchens, bartender e sommelier che si sono reinventati su digital per condividere le proprie competenze, pizzaioli che hanno preparato meal boxes per arrivare in qualunque casa nonostante le serrande abbassate e i distanziamenti sociali.
Abbiamo fatto lo slalom tra aperture, chiusure, zone di tutti i colori e - soprattutto - la paura e la consapevolezza di dover trovare ogni giorno strumenti nuovi per adattarsi a una realtà in continua trasformazione.
La sensazione, però, è che quei giorni "resilienti" siano finiti. Non per scelta, ma per necessità: essere resilienti è stato sfinente, ha consumato le nostre energie, dimostrato che possiamo farcela ma allo stesso tempo che questa preziosa risorsa tutta umana non risiede in un pozzo senza fondo e prima o poi è destinata a esaurirsi.
Questo inizio di nuovo anno (lavorativo) ci ha accolti con una crisi - energetica, dei consumi, dei costi delle materie prime - senza precedenti e sappiamo che ci aspetta un autunno se possibile ancor più difficile e faticoso di quelli che ci siamo lasciati alle spalle.
Secondo un recente studio di Confcommercio il settore della ristorazione, del turismo e della distribuzione alimentare sarà tra i più colpiti del terziario: le spese per i consumi di luce e gas sono triplicate nell'ultimo anno e addirittura aumentate di cinque volte rispetto al periodo pre pandemia. Questo potrebbe significare un rischio concreto per circa 120mila imprese del terziario e 370mila posto di lavoro.
Proprio come abbiamo fatto nelle prime, convulse settimane dopo l'esplosione del Covid-19, nei prossimi mesi ascolteremo e daremo voce ai ristoratori e agli esperti del settore per capire come stanno affrontando la crisi in corso e quali conseguenze essa avrà sulle singole attività.
Con una certezza: la resilienza non basta più. Ora serve resistenza.