Il 17 febbraio la terza stagione della popolare serie tv sugli chef, Chef's Table, viene rilasciata da Netflix. Creata da David Gelb, lo show è la naturale continuazione del lavoro documentaristico iniziato con Jiro Dreams of Sushi (anche questo su Netflix), girato quando aveva soli 28 anni.
Gelb, veterano di 33 anni, in tre stagioni ha ritratto alcuni degl Chef famosi - con la "C" maiuscola - più importanti al mondo: Chef’s Table parla di personaggi che hanno spinto i confini sempre più lontano, i rivoluzionari della cucina contemporanea.
I sei protagonisti della nuova stagione di Chef's Table sono: Virgilio Martinez dal Peru, Ivan Orkin da New York, Jeong Kwan dalla Corea del Sud, Vladimir Mukhin dalla Russia, Tim Raue dalla Germania e Nancy Silverton da Los Angeles.
Vi state chiedendo quale sia l'episodio preferito di David Gelb? Fine Dining Lovers ha avuto la possibilità di incontrare il regista per parlare della terza stagione e questo è quello che ci ha detto.
Quali sono i criteri per scegliere uno chef?
È una combinazione di tanti fattori. Gli unici requisiti dello show sono che lo chef protagonista faccia qualcosa che non è mai stata fatta prima. Devono aver sfidato qualche regola, allargato i confini. È questo che rende la loro storia interessante. Le persone che si prendono dei rischi in genere hanno una storia interessante alle spalle. C'è qualcosa nella loro vita. Qualcosa che pianta il seme della creatività, il bisogno di raccontare la loro storia e di convertirlo in sensazioni e immagini.
Quando cerchiamo degli chef, cerchiamo il cibo più interessante del mondo, e quando lo troviamo cerchiamo di capire la storia che c'è dietro. Storie che coinvolgono persone che hanno avuto botte sbattute in faccia, persone che non conoscono la parola "No", persone che hanno cercato di fare le cose nel loro modo per poi scoprire che lo hanno fatto nel modo sbagliato, che hanno fallito. Ma dal fallimento hanno scoperto qual è il loro vero scopo nella vita.
Queste sono storie che ispirano le persone e ispirano me come filmmaker. Mi identifico con gli chef.
Alla fine gli chef hanno bisogno di saper comunicare la loro storia di fronte alla camera. Il nostro show è unico nel mondo dell gastronomia, perché non abbiamo un conduttore. Non abbiamo una grande personalità che guida lo show da un episodio all'altro. È lo chef che raconta la propria storia. Ma la cosa che abbiamo scoperto è che gli chef sono bravi a parlare della loro storia. Hanno dovuto farlo per tutta la loro vita.
C'è un episodio preferito fra tutti quelli girati?
Sono ovviamente più coinvolto negli episodi che io stesso dirigo, perché sono fisicamente lì e conosco di persona lo chef. Mi ritrovo ad essere travolto da loro, perché ho la possibilità di filmarli. Ma una delle cose di cui sono più orgoglioso è che abbiamo reso ogni episodio avvincente. Nella terza stagione sono abbastanza conquistato dall'episodio della chef suora buddhista Jeong Kwan.
Non solo il suo cibo è bellissimo, ma lei stessa è una persona che ti illumina. Ha un calore incredibile e ama tutte le cose del mondo... è un'insegnante e mentre giravamo l'episodio mi sono sentito un suo studente. Lei prepara solo cibo vegano, non ha un ristorante; cucina in un monastero per le sue sorelle suore. Il cibo è straordinario nella sua profondità e bellezza. Non usa né cipolla né aglio, perché non sono ingredienti buddhisti, che creano un senso di avidità mentre si mangia. Lei insegna non solo come cucinare, ma anche come mangiare bene e come vivere bene, senza mai giudicare, anche se sapeva che eravamo dei carnivori. Era lì solo per aiutarci e insegnarci. Ero davvero commosso dalla sua comprensione del mondo e dalla sua pazienza. Mette qualcosa in un barattolo, lo seppellisce sotto la terra e lo tira fuori sei mesi dopo, o un anno dopo, o 10 anni dopo. È una sorta di cucina a lunga percorrenza, che permette agli organismi della natura di fare il loro gioco. Nella fermentazione hai ogni sorta di batterio e microbo che cresce a aggiunge sapore. Per Jeong Kwan quelli sono degli aiutanti. Lei lavora con loro. Il cibo è parte della meditazione e della pratica. Cucinare è una parte di questa pratica. Mangiare in questo modo ti fa apprezzare il mondo attorno a te.
Secondo lei i grandi chef sono anche dei grandi artisti?
Credo che alcuni chef siano artigiani, altri grandi artisti: lo capisci quando cercano di raccontare una storia e comunicare un'idea. Credo che quello sia il momento in cui stanno diventando degli artisti.
Ci sono tantissimi rischi in questo: aprire un ristorante è un incredibile rischio e la competizione è feroce. Per il successo bisogno mostrare che il tuo risorante sta trasmettendo una nuova idea, che lì si sta creando un nuovo fenomeno.
La cosa più difficile da fare è ripeterlo ogni singola sera: è come una performance live. Le persone spesso la comparano ad essere un regista: un regista ha una visione e deve muoversi in questa direzione. Questi chef non lavorano da soli, vengono fuori con un'idea, la sviluppano con il loro staff, poi la producono in enormi quantità. E devono farlo bene ogni singola sera. Per me è come arte performativa, ecco come la vedo.