A volte sono le canzoni, a volte i film, a volte gli abiti delle mode che sempre ritornano, negli ultimi anni sono le serie TV. A fare cosa? A riportarci indietro nel tempo per farci rivivere un periodo passato, il tallone d’Achille di noi italiani, i nostalgici per antonomasia, noi che sappiamo vivere guardando il futuro ma con i piedi ancorati nel passato.
Dal 19 maggio 2022 sono disponibili sulla piattaforma streaming di Amazon Prime, gli ultimi (attesissimi) 5 episodi della serie TV Bang Bang Baby. Ambientata nella Milano di fine anni ’80, la serie racconta la controversa vicenda di una giovane adolescente che, per conquistare l’amore paterno, da timida e introversa, diventa il membro più giovane di un’organizzazione criminale.
Quella di Alice, la diciassettenne protagonista di Bang Bang Baby, è un’avventura made in Italy che ci ha ispirato e alla fine dei 10 episodi ci siamo chiesti: ma cosa si mangiava negli anni ’80? Anche se forse la domanda più corretta da porsi è come si mangiava negli anni ’80?
Non sono le ricette o gli ingredienti a rendere più o meno memorabile un periodo storico. Sono invece i movimenti, le contaminazioni, le culture (a volte anche la politica) a determinare le tendenze di un decennio.
Come gli anni ’80 hanno influenzato il modo di mangiare degli italiani
Droga e terrorismo sono i due lati oscuri degli anni ‘70 che con la loro coda hanno colpito anche gli anni ’80. A differenza del decennio precedente però, negli anni ’80 si è ballato, tanto. Si ballava per dimenticare, per non pensare, per soffocare la prospettiva di un futuro che non si presentava particolarmente ricco di opportunità. Le esportazioni italiane non prendevano il volo e beni di prima necessità come riso, pasta e olio subivano aumenti del 50%. L’inflazione era alle stelle e con lei i debiti delle famiglie e del Paese intero ma, complice La febbre del sabato sera, si ballava.
La vecchia Italia contadina non era più totalmente tale, non era operaia e si affacciava a divenire un territorio di impiegati e negozianti. Poi, il 30 settembre del 1980, proprio a pochi mesi dall’inizio del decennio, successe un fatto che segnò per sempre le modalità di acquisto delle famiglie italiane: si accesero i riflettori su Canale 5, la prima televisione commerciale del Bel Paese. Inizia l’epoca della pubblicità e degli acquisti forsennati. Cibi e bevande erano sponsorizzati in mondo massiccio e tutto quello che prima era un bisogno necessario si trasformò in un irrinunciabile segno distintivo del proprio stato sociale. L’Italia si atteggiava da paese ricco anche se tale non era. I territori di campagna si riducevano con una velocità quasi incredibile e al loro posto nascevano condomini dormitorio e centri commerciali.
Come è nata la (nuova) tavola degli anni ‘80
Insieme a tutti questi cambiamenti economici, anche il mondo del cibo subì fortissimi cambiamenti. Per iniziare, le edicole e le librerie proponevano un numero incredibile di libri e riviste di cucina che, intervallate da persuasivi spazi pubblicitari, proponevano ricette facili, veloci, esotiche, creative e completamente prive di quei tratti tradizionali che ci portavamo nel nostalgico bagaglio del passato. Le donne, giustamente stanche di fare le casalinghe, cominciarono a lavorare e la cucina domestica non fu più una priorità. Oltre al tempo mancava anche la voglia di cucinare, si perse quel tramandare orale di ricette e si perse anche il senso della stagionalità degli ingredienti. Questo voleva dire solo una cosa: sia in casa sia al ristorante c’era molta, moltissima confusione.
Tra il disastro nucleare e il magico mondo dei surgelati
Nell’86 ci fu un fatto che paralizzò l’Europa intera: l’esplosione della centrale di Chernobyl. Questa catastrofe portò complicazioni reali sul tema dell’alimentazione ma anche a dicerie dettate dal comprensibile panico generale. Senza capire con quale logica molti ingredienti vennero demonizzati (altri no, nonostante il fatto che fossero coltivati negli stessi territori) e così il marketing dell’epoca ci convinse che era necessario un ritorno ai cibi rurali, naturali e “semplici, come si facevano una volta”. Inutile dire che si trattava di una menzogna poiché i prodotti che vantavano preparazioni “casalinghe” e autentiche si potevano trovare in uno dei posti maggiormente frequentati in questo amabile decennio: il reparto surgelati. Il consumo dei surgelati rilevò numeri di crescita impressionanti, nel 1960 se ne consumavano 20 g pro-capite, nel 1987 si arrivo a 6 kg per persona.
I food trend degli anni ‘80
Ad aggiungersi al meraviglioso mondo dei surgelati ci fu il mais in scatola che diventò un vero e proprio trend. L’insalata fu il termine generico con cui negli anni ’80 si chiamava la rucola. C’era rucola ovunque, come contorno, come piatto principale ma anche come sfondo, se ne mangiò tanta e se ne cestinò una buonissima parte. Iniziò l’era delle trote salmonate, dei carpacci, della famosa e indimenticata pasta con panna e salmone, dei funghi porcini, dell’insalata russa (che di russo aveva ben poco), del vitel tonné (solo da pochi anni ci siamo riabituati a chiamarlo vitello tonnato) e del caviale.
La frutta nostrana venne snobbata a favore della frutta esotica con cui si realizzavano anche composizioni che al giorno d’oggi potremmo definire imbarazzanti. Ananas, mango, papaya, passion fruit e kiwi cambiarono non solo il nostro modo di mangiare i prodotti ortofrutticoli, ma nei casi possibili ci resero in pochi lustri tra i più significativi produttori internazionali. I primi reali contatti con quell’America che correva velocissima verso il suo boom economico e di costume, ci proiettò verso il mondo dei fast food, degli hamburger e degli snack.
Quell’Italia dal palato gentile non badava più al gusto e ai sapori, voleva solo sperimentare ed essere trendy. Lo dimostra anche il cinema italiano di quei tempi che con le sue fortunatissime pellicole ci diceva che gli italiani volevano mangiare aragoste a Courmayeur e bere Champagne nelle calde isole. Ci fu anche il boom dei piatti veloci da preparare e adatti più ai single che alle famiglie: pasta aglio, olio e peperoncino, panini (meglio dire sandwich) e risotti imbarazzanti. Ci fu poi però una rottura tra il modo di mangiare e l’aspetto fisico. Cheeseburger inondati di salse, patatine fritte e panini non sempre garantivano un fisico snello e atletico come i modelli dell’epoca imponevano. Arrivo dunque il momento di yogurt e cereali. Fu così che il pranzo della domenica all’italiana subì un duro, durissimo colpo.
Il nuovo modo di mangiare era veloce, quasi mai nutriente e soprattutto non aveva il suo focus sul gusto bensì sull’apparenza. Nacquero anche le prime mense aziendali (addio dunque anche alle schiscette) che proponevano metri di piatti freddi, insalate capresi, insalate di riso, insalate di pollo e, naturalmente, yogurt. Inconsapevolmente (o quasi) ci ritrovammo nell’universo dei buffet gremiti di canapé, tartine e tramezzini. Dal punto di vista del cibo furono anni bui, ma almeno di continuava a ballare sul mito di John Travolta e dell’immensa Raffaella Carrà.
L’alta gastronomia degli anni ‘80
Fortunatamente, in tutto questo mare di incertezze alimentari prive di idee e identità, brillava un genio. Il maestro Gualtiero Marchesi invece di aggiungere intingoli e salse a portate dimenticabili, toglieva e riduceva per creare piatti che ancora oggi rappresentano le basi dell’alta gastronomia italiana. Impossibile dimenticare il suo risotto giallo con la foglia d’oro e il suo raviolo aperto. Marchesi fu il primo italiano, nel 1985, a raggiungere la vetta dei ristoranti tristellati. I punti di forza della sua cucina erano estetica ed estrema cura nel mettere l’accento su sapori e ingredienti.
Le ricette simbolo degli anni ‘80
Anche se non propriamente gustose e nutrienti, alcune delle ricette degli anni ’80 sono rimaste nei nostri cuori (chi lo sa poi il motivo) e ancora oggi di fronte a un piatto di penne con panna e salmone impugniamo la forchetta con vigore e ci asciughiamo la lacrimuccia (nostalgica) con un fazzoletto di carta (ovviamente riciclata e biodegradabile). Ma quali sono queste ricette?
L’insalata di riso
Questa preparazione è forse una punizione che l’essere umano si è meritato per le brutture commesse nel corso della storia. Il riso, spesso scotto, veniva condito con ingredienti altrettanto terrificanti come wurstel (crudi) tagliati a rondelle, sott’aceti industriali, formaggi di dubbia provenienza e scatolame che comprendeva pesce, verdure e naturalmente mais. I più golosi ci aggiungevano anche ettolitri di maionese industriale. Oggi l’insalata di riso la chiamiamo pokè (quello all’italiana, sia inteso), ma la sostanza non cambia, è solo un’insalata di riso che si è messa un bel vestito trovato con un colpo di fortuna al mercatino vintage.
Risotto con lo Champagne
Il titolo della ricetta era, nella maggior parte dei casi, ingannevole. Spumante di pessima qualità veniva spacciato per Champagne e da un lato meno male. Preferiremmo tutti essere ingannati invece di sprecare uno dei vini più prestigiosi del mondo per preparare un risotto senza carattere.
Penne con panna e salmone
Su questo piatto si continuano ad aprire numerosi dibattiti. Esistono due fazioni: le persone che ogni tanto la preparano e la mangiano con gioia e quelle che mentono. Non è certamente uno dei migliori piatti della cucina italiana, ma è certamente una delle ricette da salvare di questo decennio.
Svizzere con pomodoro e mais
Hamburger di carne all’inizio degli anni ’80 si chiamava “svizzera” e si proponeva, spesso stracotto, con un bel contorno di pomodorini e mais. Una ricetta che non ha di certo guizzi ma che per un pranzo o una cena veloce può essere ancora tollerabile (magari senza mais).
Fonte: "Così mangiavamo - Cinquant'anni di storia italiana tra tavola e costume" di Stefania Aphel Barzini